MANIFESTO

#63

CHANGE OF SPACE

Perfect Days

2024.01.04

Testo di Francesca Fontanesi

Viaggio nel cinema meditativo di Wim Wenders: Perfect Days, una boccata d’aria che celebra l’eccezionalità del quotidiano attraverso una personale riflessione visiva e sonora, i paesaggi della working class di Tokyo e la filosofia dell’hic et nunc. Una fotografia del komorebi, il fenomeno naturale dei raggi di sole che filtrano tra gli alberi.

Il nuovo film di Wim Wenders, co-sceneggiato dal regista tedesco insieme a Takuma Takasaki, è in apparenza uno spaccato agrodolce sulla quotidianità della vita a Tokyo. La produzione è nata da un’iniziativa volta a promuovere i quindici bagni pubblici progettati da venti nomi dell’architettura contemporanea in occasione delle Olimpiadi rimandate a causa del Covid-19: Wim Wenders si avvale di quest’ambizione iniziale per onorare in realtà un altro aspetto del Giappone, ovvero una forte cultura del rispetto e del dovere. Rispetto della pulizia, dell’ambiente e degli estranei; ma anche del bene comune, del rapporto tra servitori e serviti, della propria intimità e di quella altrui. La piena espressione del suo lavoro si manifesta però solo nell’ultima inquadratura prolungata sul volto del protagonista, che oscilla tra la gioia e la malinconia: traslata sullo schermo dal direttore della fotografia Franz Lustig, l’essenza di Hirayama, interpretato da Koji Yakusho, è quella di un uomo di mezza età impiegato come addetto alle pulizie dei bagni pubblici che si sposta serenamente da un lavoro all’altro verso Shibuya con il suo furgone, ascoltando rock classico e vintage pop su audiocassette vecchia scuola–Patti Smith, i Kinks, i Velvet Underground e Lou Reed, per citarne alcuni. Wenders, che nel 1985 ha girato un film sulle sottoculture giapponesi intitolato Tokyo-Ga, imposta audacemente il tono del film con il titolo Perfect Days, sottolineando in modo quasi scontato la filosofia del suo protagonista: Hirayama vive una vita di tranquilla e adorabile solitudine, un momento alla volta. Non ci sono flashback, non ci sono lunghe esposizioni, non ci sono stacchi. Non ci allontaniamo mai da Hirayama e Hirayama stesso non si allontana mai dall’essere veramente presente in ogni singolo momento. Hirayama incarna la quintessenza del Komorebi 木漏れ日, una parola giapponese che descrive la luce del sole che brilla attraverso le foglie degli alberi, creando strati sovrapposti di luce e buio; una potente metafora del tema centrale di questo cinema meditativo: un modo per riconoscere e abbandonarsi alla bellezza invisibile e trascendentale del qui e ora.

“È la storia di Mr.Nobody, un signor nessuno invisibile alla gente, addetto alle pulizie delle toilette pubbliche di Tokyo, che vive un’esistenza modesta ma molto serena.”

– Wim Wenders

La struttura della routine quotidiana di Perfect Days diventa la spina dorsale dell’intero progetto. Nel corso del film, la cinepresa riprende il protagonista mentre fa sempre le stesse cose: Wenders ha utilizzato un approccio documentaristico per creare Hirayama, un sottile promemoria del fatto che siamo al fianco di questo personaggio in ogni momento della sua vita–in ogni canzone di Lou Reed, in ogni bagno che pulisce, in ogni pasto che consuma, in ogni momento di solitudine insieme alle letture serali di Faulkner alla luce di una piccola lampada prima di dormire–eppure nulla di lui viene mai davvero concretizzato, perché non sono necessari dettagli della sua storia personale per riconoscere l’umanità del personaggio. Ma Hirayama resta comunque un eroe imperfetto, e Wenders si astiene dal giudicare il suo stile di vita. Seguiamo semplicemente le avventure (o l’assenza di esse) della sua vita fino a quando gli viene offerta una scelta: continuare a vivere allungando il tempo, gustando giorni perfetti di pacata solitudine o abbracciare un’avventura romantica, riunirsi con la sua famiglia e fare nuove amicizie lungo il fiume Sumida. Hirayama è dilaniato tra la soddisfazione di una vita semplice, priva di ego, e il potenziale per una felicità che si fa più grande e complessa quando è condivisa con altri esseri umani, o addirittura trasmessa. Questo conflitto interno riflette un sentimento profondamente umano: la malinconia, un connubio tra la contemplazione poetica della nostra esistenza e la presa di consapevolezza che la presenza non implica beatitudine, né armonia infinita, né pace. Hirayama decide di affrontare tutte queste emozioni sul momento; rimangono parte di lui, ma non dettano la direzione della sua vita in futuro, conscio dell’impotenza contro il tempo che definisce le nostre vite.

“Hirayama a un certo punto della sua vita ha deciso di lasciare una condizione di estremo privilegio per una vita semplice, pulire toilette, e lo fa con piacere, è felice. Vive modestamente come persona di servizio, è invisibile alle persone, ma lui vede tutto.  La routine non è un peso per lui, che vive il qui e ora, semmai gli dà molta libertà. Nella nostra vita il termine routine ha una connotazione molto negativa, ma lui la vive come un rituale, e ogni volta lo compie come fosse la prima.”

– Wim Wenders

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