Nan Goldin (nata a Washington D.C. nel 1953) è una delle artiste più importanti del nostro tempo per la sua brillante esplorazione dell’esperienza umana, divenuta ormai leggendaria per aver influenzato profondamente le generazioni successive. Prendendo ispirazione dai film amatoriali di Andy Warhol, ma anche da Federico Fellini, Diane Arbus, Helmut Newton, Nan Goldin ha costruito un stile esplicito e decadente, caratterizzato da setting scomposti e spontanei, volti reali ripresi in momenti di intimità spiazzante, immediata e senza filtri. Il suo resoconto della cosiddetta hard drug scene degli anni Ottanta è un manifesto di controcultura: l’arte di questa incredibile artista si fa strada tra l’estetizzazione degli angoli più privati e fragili della quotidianità, una lotta alle convenzioni, una lettura schietta del mondo che viene sempre dai margini e non dal centro. L’opera più celebre,The Ballad of Sexual Dependency (1981–2022), documenta la sua vita a Provincetown, New York, Berlino e Londra a partire dagli anni ’70 e ’80 fino ai giorni nostri.
“Pensavo che non avrei mai potuto perdere nessuno se lo avessi fotografato. In realtà, le mie foto mi mostrano quanto ho perso.”
Fotografare per primi la cruda tenerezza del mondo attraverso la propria cerchia di amici creativi e bohémien diviene oggi un raro atto politico di primaria valenza, un modo che esprime un’emergenza artistica attraverso le forme dell’attivismo. Le sue fotografie sono spaccati di vita cruda: istantanee dell’intimità e dell’accoppiamento, del quotidiano e delle feste sfrenate, della lotta tra autonomia e dipendenza. In mostra saranno presenti altri lavori cruciali, tutti spinti sempre di più verso l’immagine in movimento; lei stessa ad un certo punto della sua carriera afferma di aver sentito l’esigenza di rivolgere il mezzo fotografico in qualcosa di più mutevole e meno rigido, l’approccio nei confronti del cinema arriva al suo apice nel 2022 con All the Beauty and the Bloodshed, vincitore del Leone d’Oro al Festival di Venezia. Nel documentario la stessa Goldin racconta come fosse all’inizio della sua carriera praticamente impossibile piazzare le proprie opere nelle gallerie di New York, quando a decidere cosa potesse essere degno d’esposizione erano solo maschi bianchi borghesi, che di sicuro trovavano riprovevole la rappresentazione di drag queen, uomini gay in abiti di pelle, disordinati appartamenti bohémien e così via. La caparbietà di questa personalità si è fatta spazio, per esempio, nel rendere pubblica l’emergenza dell’Aids e nel portare avanti le istanze della comunità LGBTQ+.
“Ho trovato un modo per realizzare film con immagini fisse. Fare slideshow mi dà il lusso di riedizione costante per riflettere la mia visione mutevole del mondo.”
La mostra presenta un’opportunità unica per esplorare le opere pionieristiche di un periodo che è stato trasformativo in ogni campo della storia e, con successo presenta in modo orizzontale una serie di temi chiave all’interno dell’arte ambientale e femminista: genere, empatia, importanza della psicologia, patriarcato e sessualità. Evidenziando questo periodo cruciale della storia, la mostra sfida le narrazioni tradizionali e sottolinea la resilienza e l’innovazione di una donna visionaria. Lo Stedelijk Museum è stato il primo museo europeo d’arte moderna a collezionare fotografie; possiede infatti un ricco corpus di opere di Nan Goldin, invitata per la prima volta a presentare le sue diapositive in forma di esposizione nel 1997. Ora, a distanza di decenni lavori come The Other Side (1992-2021) – ritratto storico realizzato come omaggio ai suoi amici trans – e Sisters, Saints and Sibyls (2004-2022) – testimonianza del trauma familiare e del suicidio della sorella – tornano a dialogare nel museo per riempire l’immensa galleria del piano inferiore. In un mondo in cui la realtà diventa sempre più indistinguibile dalla fantasia e dall’illusione, il successo di Nan Goldin sta nella radicalità dell’autenticità senza compromessi: le sue immagini cariche di potenza visiva e formale catturano i momenti più vulnerabili dell’essere umano, entrando nel profondo dell’anima di chi le guarda.
Per maggior informazioni Stedelijk Museum