Martin Parr. Short and Sweet
MUDEC, Milan
From February 10th, 2024 until June 30th, 2024
All’età di ventitré anni Martin Parr, insieme a Susie Mitchell, si muove velocemente tra i sobborghi della metropoli londinese in direzione delle periferie dello Yorkshire. Per cinque anni, la coppia documenta quotidianamente gli eventi a cui assiste, in particolare quelli dei Non-Conformists, nome ispirato alle cappelle metodiste e battiste che stavano diventando numerose nella zona. Influenzato dalla fotografia a colori americana di William Eggleston e Garry Winogrand, Martin Parr fotografa sia l’ambiente circostante che le vite dei cosiddetti colletti blu: operai, minatori, agricoltori, guardiacaccia e allevatori di piccioni, realizzando cosi un ritratto documentaristico storico e toccante capace di definire il carattere ferocemente indipendente di un’Inghilterra Settentrionale che vuole separarsi dall’anglicismo di Stato. Attraverso una cronaca fotografica senza filtri e anti-retorica, il percorso dedicato a Martin Parr presso il MUDEC di Milano si apre non a caso con The Non-Conformists, una serie di immagini scattate dal 1975 al 1980 da un giovane e inedito fotografo destinato a guadagnarsi molto presto il riconoscimento del pubblico mondiale.
“Di solito ti viene detto di fotografare solo quando la luce è buona e c’è il sole, ma mi piaceva l’idea di scattare fotografie solo in caso di maltempo, come modo per sovvertire le regole tradizionali”.
Il primo progetto a colori (audace, energico, saturo) di Parr è The Last Resort, un reportage dal sapore agrodolce condotto lungo le spiagge di Brighton, sobborgo balneare di Liverpool, nella prima metà degli anni Ottanta, periodo di profondo declino economico in cui versava il nord-ovest dell’Inghilterra. Tra satira e crudeltà non così sottile, Parr ritrae diverse famiglie di basso ceto sociale in vacanza a New Brighton: vista attraverso il suo obiettivo, quella che dovrebbe apparire come una località di villeggiatura estiva assume l’aria grigia e caotica di una zona industriale. Parr evoca la nostalgia per gli anni Sessanta, creando il primo esempio di reportage spietato e lucido sulla fine di un mondo – quello operaio – e dei suoi valori, nonché l’avvento inarrestabile di una nuova concezione consumistica della vita. Sullo stesso registro c’è Common Sense: oltre 200 fotografie in formato A3 che offrono uno studio ravvicinato del consumo di massa e della cultura dello spreco, in particolare occidentale ed europea. Combinando tutti gli elementi che avevano caratterizzato la fotografia di Parr negli anni Settanta e Ottanta, la serie dà seguito all’ossessiva ricerca visiva dell’artista di tutto ciò che è stonato, volgare, assurdo. Quando è presentato in mostra, Common Sense viene installato come un’ampia e compatta serie di immagini dai colori vivaci tra loro accostate, stampate a buon mercato con una macchina Xerox a colori. Parr eccelle qui nella resa di soggetti legati spesso al cattivo gusto e alla volgarità tipica contemporanea, che coglie con un cinismo di fondo e un sarcasmo senza precedenti.
Gli scatti e le composizioni dinamiche fatte di accostamenti audaci, oggetti kitsch e volti pesanti sono riprese da angoli insoliti e inquadrature ravvicinate per catturare l’attenzione e l’interesse di chi le osserva. Fondamentale diventa l’attenzione al dettaglio, attraverso il quale Parr riesce a cogliere gli elementi distintivi di un luogo o di una situazione, e un’attenta analisi della cultura e della società che egli si trova a descrivere. Negli anni Novanta lo sguardo di Martin Parr si amplia e si rivolge al resto del mondo; in Small World esplora l’universo del turismo di massa su scala globale, mettendo in luce una prospettiva di viaggio sempre più omogenea dove, nella ricerca di culture differenti, le culture stesse vengono distrutte. Le questioni sollevate da Parr un decennio fa sono ancora più rilevanti oggi: mentre vivaci gruppi di turisti appaiono come partecipi entusiasti di una cultura consumistica onnipresente, sono anche vittime perplesse alla mercé di forze sociali più grandi e imprigionati nel desiderio di spettacolo. Il Parr fotografo segue le orme del turista medio e tenta di rivelare la grande farsa del viaggio che per la maggior parte delle persone è in realtà un’attività di svago resa possibile solo di recente, in seguito allo sviluppo delle compagnie aeree a basso costo. Uno specchio particolarmente crudele, standardizzato fino all’assurdo, del mondo del turismo che assomiglia sempre più a un sogno annacquato e omogeneo.
Insieme al turismo c’è poi il tema del ballo: Everybody Dance Now. Secondo Martin Parr, a parte la fotografia, la danza è probabilmente la più democratica tra le forme di espressione. Unisce le due arti in questa ricerca nella quale partendo da San Paolo in Brasile e arrivando fino alle isole scozzesi fotografa per oltre trent’anni svariati tipi di ballo: ballerini per strada, lezioni di aerobica, feste in ogni parte del mondo, danze del tè. Il lavoro di Parr è sempre uno studio puntuale sui corpi, sulle loro proporzioni e sulla loro pelle, sui movimenti, i diversi abiti, le calzature, i make-up, le espressioni dei volti in quella particolare attività del tempo libero, naturale e allo stesso tempo strettamente culturale, che è la danza. Emerge dai suoi scatti una folle energia, dove il corpo collettivo si manifesta senza riserve e pudori. Ma alla fine l’Inghilterra resta sempre la materia preferita di Parr: la maggior parte delle sue serie fotografiche più comiche, dogmatiche, affettuosamente satiriche e colorate si dedicano a documentare cosa significhi essere inglese oggi. Con Establishment, il fotografo prosegue riprendendo le élite che governano il Paese e i loro rituali, rendendo sorprendente ciò che è ovvio, reinventando i cliché inglesi, trasformandoli in rivelazioni provocatorie. Ecco i luoghi e i personaggi di spicco della politica inglese, le sedi del potere, le università più famose. Le convenzioni sociali che si ripetono nel tempo, i comportamenti analizzati fin nei minimi gesti, l’abbigliamento, le espressioni, gli sguardi, le piccole ossessioni, le tradizioni che si esprimono negli arredi e negli oggetti.
In America you have the street, in England we have the beach.
Life’s a Beach mostra scatti provenienti dalle spiagge di tutto il mondo, in un caleidoscopio di immaginari del corpo vestito e svestito e del suo mostrarsi in pubblico. Nel Regno Unito è impossibile trovarsi a più di 75 miglia dalla costa e, con così tanto mare, non sorprende che in Gran Bretagna esista una forte tradizione di scattare foto sulla spiaggia; per Parr, è qui che le persone possono rilassarsi, essere sé stesse e sfoggiare tutti i piccoli aspetti di quel comportamento leggermente eccentrico che è tipico dei Britannici. Il risultato è un’analisi sistematica e non giudicante dei nostri piaceri quotidiani davanti ai quali siamo tutti uguali, quando i nostri piedi affondano nella sabbia, quando aspettiamo il momento in cui possiamo immergerci nell’acqua e trovare piacere in quei gesti universali e rituali comuni a qualsiasi classe ed estrazione sociale. Attraverso i suoi progetti, lo stile documentaristico che da oltre cinquant’anni caratterizza il linguaggio di Parr si traduce in una cartina tornasole per osservare la società contemporanea e le sue sfaccettature più contraddittorie, quelle che appartengono al mondo occidentale, in particolare europeo, restituito da una cronaca fotografica senza filtri e fuori dalla retorica, a volte raccontata con pungente sarcasmo; più spesso presentata con tagliente umanità.