Il New Museum esplora il corpus di lavoro decennale di Judy Chicago attraverso un nuovo approccio curatoriale; Massimiliano Gioni concepisce la mostra con un fare collaborativo dove l’artista è invitata a presentare un museo personale basato su un modello di storiografia porosa, ospitale e accogliente. Judy Chicago: Herstory è a tutti gli effetti una rassegna museale esplorativa ed educativa sull’impattante pratica artistica dell’attivista americana. Chicago vede la costruzione della sua carriera come un percorso lungo e per niente facile, vincolato dall’essere stata all’interno di un campo dominato da uomini e da strutture binarie. Nel 1963, mentre frequentava l’Università della California, a Los Angeles, prese parte ad una scuola di carrozzeria – dove era l’unica donna tra 250 studenti – per imparare le tecniche di verniciatura a spruzzo per i cofani delle sue auto, “perché mi sembrava un altro modo per dimostrare la mia serietà al mondo dell’arte maschile”, dichiara. I suoi primi lavori, infatti, immagini sensuali dai colori vibranti, non furono mai sostenute dai suoi Professori. Nelle prime opere giovanili si è orientata verso un contenuto più formale e meno radicale: le opere che vanno dal 1964 al 1973 sono molto più in linea con gli approcci prevalenti di quel momento storico, mentre negli anni successivi, l’artista americana si è pian piano allontanata dal tipo di soggetto iper femminile per poi tornarci solo anni dopo.
“L’intero concetto di arte femminista è per me il codice di forma dell’arte contemporanea che deve essere infranto per ampliare il pubblico.”
Così Judy Chicago inizia in un secondo momento la celebre serie di opere performative Atmospheres (1968 – 1974). In mostra al New Museum troviamo in questa sezione pennacchi cromatici di fumo e di fiamme creati attraverso macchine del fumo, fuochi d’artificio e razzi stradali documentati in fotografie e filmati di grande impatto. Le tredici performance iniziali, denominate California Atmospheres, sono state allestite per il pubblico in ambienti naturali e architettonici di Los Angeles. La sequenza successiva, Northwest Coast Atmospheres (1970-75), è stata creata durante un viaggio nel Pacifico nord-occidentale e realizzata esclusivamente per per la videocamera. Questi primi lavori molto dinamici attivano il paesaggio attraverso un uso espressivo del colore, simile alle sue precedenti sculture minimaliste e ai suoi dipinti formali, ma questa volta in una forma più libera e concettuale. Sebbene le Atmospheres di Chicago siano ancora spesso paragonate al lavoro di artisti maschi associati alla Land art e al movimento Light and Space, le sue performance sono state realizzate con un esplicito intento femminista. Per Judy Atmospheres segna il suo momento di transizione, in cui i particolari schemi di colore e i metodi di fusione tra superficie e terreno sviluppati per inserire la voce, il corpo, i sentimenti dello spettatore si liberano da questi vincoli. Le sue successive opere di fumo incorporano performer femminili i cui corpi nudi sono spesso dipinti con pigmenti radianti evocando antiche figure di Dee. La presenza collettiva nel paesaggio coreografico di Chicago già suggeriva le comunità femminili che avrebbe creato e descritto nei due progetti di collaborazione più famosi e radicali: Womanhouse (1972) e The Dinner Party (1974-79), presentati al New Museum come una mostra dentro la mostra.
“Quello che ho cercato fin dall’inizio è una ridefinizione del ruolo dell’artista, un riesame del rapporto tra arte e comunità, un ampliamento delle definizioni di chi controlla l’arte e, di fatto, un dialogo allargato sull’arte, con nuovi e più diversi partecipanti.”
Le performance di Chicago si sono evolute man mano che esplorava altri luoghi e tipologie di fumo, come i fuochi d’artificio colorati e il ghiaccio secco. L’obiettivo di queste opere effimere era quello di “femminilizzare” il paesaggio nei parchi, nei campus universitari, nel deserto della California meridionale e nel nord-ovest del Pacifico. L’artista ha perseguito un lavoro minimalista, delicato e esperenziale attraverso la pittura e le forme scultoree astratte, nonostante spesso il suo lavoro fosse ignorato e ridicolizzato per la sua tavolozza di colori pastello “femminili”. Come Chicago ha spesso affermato, le Atmospheres, o sculture di fumo, erano una risposta diretta all’invadente e talvolta distruttiva Land art dei suoi contemporanei maschili, come Michael Heizer e Richard Serra. Fu proprio all’inizio degli anni Settanta che si impegnò attivamente nel movimento femminista, è il periodo in cui produce la serie pittoriche di acrilico su tela, come quelle esposte, dedicate a Virginia Woolf, from The Reincarnation Triptych (1973) e Car Hoods, quattro dipinti geometrici realizzati sui cofani delle automobili, verniciati e carteggiati. L’azione di trasferire i simboli femminili su una nuova superficie innesca nel suo lavoro un qualcosa di sovversivo proprio nel riproporli sulla più maschile delle forme: il cofano di un’automobile, un hackeraggio artistico che la porta nel 1970 a istituire il Feminist Art Program presso il Fresno State College (oggi California State University, Fresno). Un mezzo radicale per trasformare l’educazione artistica e affrontare l’emarginazione delle donne nelle scuole d’arte dell’epoca. La mostra, curata da Massimiliano Gioni, svela un ampio focus sul programma Womanhouse, una sfida alla pedagogia tradizionale delle scuole d’arte che è stata innovativa per l’uso della performance e dell’installazione come pratica prettamente femminile, in particolare attraverso le tecniche artigianali.
“Questa esposizione propone un modello nuovo e radicale per una mostra personale: una introspettiva piuttosto che una retrospettiva.”
L’indagine esuberante di questa incredibile artista evidenzia – in modo cronologico – come il corso della storia dell’arte, delle arti domestiche, dell’artigianato e l’ornamento, specificamente codificati come “femminili”, siano stati a lungo considerati alla pari di forme d’arte come la pittura e la scultura. E soprattutto come i progetti di Judy Chicago The Dinner Party, Birth Project e Holocaust Project siano tutte imprese motivate dal desiderio di imparare e di saperne di più e non dal piacere di apparire. La mostra si conclude con una serie che esplora la struggente realtà della morte che colpisce per Judy Chicago sia gli individui che il pianeta, l’opera Mortality (Mortalità) si concentra sulle ansie dell’artista in merito a questo tema, con ogni pannello dipinto che risponde alla domanda How Will I Die? (Come morirò?).
La mostra Judy Chicago: Herstory è supportata da Dior. Per l’occasione Judy Chicago è stata chiamata a interpretare, insieme ad altre donne eccezionali, la Lady Dior 9522. Dopo aver dato vita a una collaborazione unica in occasione della sfilata Dior haute couture primavera-estate 2020, l’appassionato dialogo instaurato tra Maria Grazia Chiuri e l’artista femminista americana prosegue in un incontro affascinante. Quest’ultima sfoggia il nuovo accessorio essenziale in pelle nera, in formato ridotto. Riflettendo il savoir-faire d’eccellenza della Maison.
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