Il viaggio di i need to live è un percorso sincretico che unisce due temporalità opposte e due posture di vita agli antipodi sperimentate dall’artista Juergen Teller. Il fotografo decide di iniziare proprio da una fotografia di se stesso, ancora piccolissimo, scattata dal padre, per poi attraversare decenni di lavoro personale e professionale e culminando, ciclicamente, con le fotografie della figlia appena nata. Così, fin dai primi lavori si leggono due spinte opposte destinate ad esplodere con un forte impatto visivo nella forma e ironico nel significato. Da una parte, la voglia e la volontà di vivere, di credere nel futuro e nelle infinite potenzialità che si riflettono in un figlio e nella propria famiglia, dall’altra, il passato biografico dell’artista, che ricorda lo struggimento, la depressione e la morte prematura del padre. Due posture nei confronti della vita opposte, di cui il fotografo si fa beffa, come nel quasi – autoritratto Father and Son (2003), dove si autoritrae nudo sulla tomba del padre mentre beve una birra e fuma una sigaretta. È come se la macchina fotografica diventi il mezzo liberatorio per Teller, uno strumento che unisce due attitudini opposte, la morte e la voglia di vivere, l’autosabotaggio e la curiosità nei confronti della vita. In mostra ci sono immagini immediatamente riconoscibili – come il ritratto di Björk e di suo figlio, scattato nella Laguna Blu d’Islanda nel 1993 – e altre mai esposte prima; il tutto presentato in uno spazio progettato da 6a architects, che ha immaginato lo studio rivestito di cemento del fotografo a ovest di Londra.

“Il titolo della mostra i need to live vuole esprimere un messaggio positivo e una dichiarazione forte, cioè che sono ancora super curioso della vita.”
Emerso alla fine degli anni Ottanta, Teller ha sempre rifiutato nel suo lavoro i riferimenti per cui era noto quel decennio – il denaro, l’eccesso – in favore di una visione più libera della realtà. Negli anni successivi, si è fatto una reputazione per il suo lavoro senza fronzoli che privilegia la grinta rispetto allo sfarzo, il grunge rispetto al glamour; le sue fotografie appaiono spesso senza posa e senza scenografia, tutto nelle sue immagini è a favore dell’ispirazione a dispetto di una costruzione scenica o schematica. Teller è oggi conosciuto per le sue immagini irriverenti e per l’influenza del suo lavoro nel campo della fotografia di moda e nelle arti visive, divenuto uno dei più grandi, in modo onnicomprensivo e totalizzante, che è difficile staccarlo dalla fotografia di moda contemporanea. Il direttore creativo Anthony Vaccarello lo descrive come “un straordinario fotografo la cui intelligenza, umorismo e rispetto rendono il suo lavoro un vero e proprio gioco introspettivo, dove i flashback sono sia tributi che allusioni ai miti fondanti della Maison Yves Saint Laurent”. Ed è vero che la genialità delle fotografie dell’artista tedesco risiede nel fatto che sembra che chiunque possa produrle, ma che nessun altro ci riesca. Mentre si attraversa la mostra, verso la fine, il senso delle prime opere che ripensavano al passato, viene ribaltato, poiché ci si ritrova a costruire il futuro: le fotografie del matrimonio dell’artista nel 2021, una serie sul concepimento del primo figlio e altre opere dopo la sua nascita, concludono, come a suggerire un senso di ottimismo e vitalità, la mostra. “Si tratta di essere positivi”, dichiara l’artista in occasione dell’opening di i need to live.

“La nudità è un modo onesto – il modo più puro – di mostrarsi. Come fotografo di moda, ho sempre a che fare con i vestiti, quindi mi piace essere completamente libero da questo.”

Il ribaltamento di senso, qualcosa che cambia il punto di vista e rende tutto meno scontato, è il centro della mostra e il filo conduttore di tutto il corpus artistico di Teller, soprattutto nei suoi lavori di advertising, negli editoriali e nei lavori più personali e intimi. Il suo modo di essere presente non è mai eccessivamente esagerato nei confronti di una situazione e del suo esito, come se Teller ci tenesse particolarmente tanto a mantenere una sorta di libertà e apertura nei confronti di ciò che succede tra lui, i suoi soggetti e i suoi collaboratori. Con i clienti come Marc Jacobs o Helmut Lang, il forte rapporto di fiducia reciproca gli ha permesso di scavare a fondo e di creare il miglior lavoro possibile, a modo suo. Così, sia che si tratti di lavorare con un designer di moda, uno stylist, un curatore o un artista, sia con Cindy Sherman o Nobuyoshi Araki, l’affiatamento creativo rimane l’elemento creativo più importante.

Per ulteriori informazioni grandpalais.fr