MANIFESTO

#64

MUSE TWENTY FANZINE

STAY PLAYFUL

2024.03.27

Testo di Francesca Fontanesi

Pino Pascali amava il paradosso, l’anticonformismo, il gesto che avrebbe suscitato stupore. A partire dal 28 marzo, Fondazione Prada presenta a Milano un’ampia retrospettiva dedicata all’artista a cura di Mark Godfrey.

Pino Pascali
March 28th – September 23rd, 2024
Fondazione Prada, Milan

 

 

Nato a Bari nel 1935, Pino Pascali si trasferisce a Roma nel 1955 per studiare scenografia presso l’Accademia di Belle Arti. Fin dagli anni dell’Accademia, sotto la guida di Toti Scialoya, Pascali studia Pollock, Gorky e De Kooning, padri dell’espressionismo astratto americano. L’energia vitale, il ritmo caotico e privo di forma ragionata attraggono il giovane studente, in particolare il dripping di Pollock, che segna una linea di confine netto con la figurazione – che però Pascali non abbandonerà mai.
 Affascinato dall’uso di materiali inconsueti come il bitume, le latte, il cuoio, il metallo, sperimenta le mescolanze del petrolio  e polveri varie, dipingendo su lastre di lamiera di zinco e di legno. Pascali amava il paradosso, l’anticonformismo, il gesto che avrebbe suscitato stupore; girava per Roma su una vecchia auto, sempre vestito di nero, vulcanico e insofferente alla regola; si incantava davanti alle gabbie dello zoo e alle vetrine di giocattoli. Nel 1968 muore tragicamente in un incidente in moto all’età di trentadue anni, nello stesso anno della sua presentazione monografica alla Biennale d’Arte di Venezia. Quest’anno, Fondazione Prada presenta un’ampia retrospettiva dedicata a Pino Pascali  che si sviluppa in tre edifici della sede di Milano: il Podium, la galleria Nord e la galleria Sud.

Come scrive Mark Godfrey, Pascali ha esplorato il rapporto tra scultura ed elementi di scena e ha contrapposto scultura e oggetti d’uso. Ha creato opere che da lontano sembrano dei ready-made, ma che a uno sguardo ravvicinato si rivelano essere realizzate con materiali di recupero. Si interrogava sulle potenzialità di una scultura finta o simulata. Intitolava le opere come fossero corpi solidi, strizzando l’occhio al suo pubblico, a sua volta consapevole che si trattasse di volumi vuoti. Usava elementi naturali come la terra e l’acqua insieme a materiali da costruzione come l’eternit, e divideva i suoi mari e campi in unità modulari. Portava in studio nuovi prodotti di consumo e tessuti sintetici per creare animali, trappole e ponti. E se la complessità del suo approccio alla scultura è indiscutibile, il fattore che rende la sua pratica artistica così geniale e originale è un altro. Pascali è un artista sempre attuale perché era un’esibizionista: comprendeva che gli artisti del dopoguerra dovevano dedicare altrettante energie all’attività espositiva quante quelle dedicate a rifinire le opere in studio. Essere un esibizionista significava innanzitutto creare con le proprie opere ambienti coinvolgenti seppur temporanei, ambienti che fossero più della somma delle loro parti. In secondo luogo, l’esibizionista doveva procurarsi quante più occasioni espositive possibili e poi assumerne il controllo. Terzo, l’esibizionista riconosceva l’importanza di avere immagini della mostra prima e dopo l’allestimento. Quarto, l’esibizionista doveva infondere nuova linfa alla sua opera per ogni mostra, e cambiare radicalmente l’approccio alla realizzazione di ogni progetto espositivo. Tutti questi elementi sono rintracciabili nella folgorante carriera di Pascali.

Pino Pascali. Pino Pascali nel suo studio con la Trappola, marzo 1968. Foto di Andrea Taverna. Courtesy Fabio Sargentini, Archivio L'Attico.
Pino Pascali con Bachi da setola, 1968. Foto di Andrea Taverna.
Courtesy Fabio Sargentini, Archivio L’Attico.
Pino Pascali, 32 mq di mare circa, 1967. Foligno, Palazzo Trinci. Foto Claudio Abate.
© Archivio Claudio Abate.
Pino Pascali, Vedova Blu, 1968. VI Biennale Romana. Rassegna di arti figurative di Roma e del Lazio,
Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1968. Foto Claudio Abate. ©Archivio Claudio Abate.
Studio di Pino Pascali, 1968, Roma. Foto Claudio Abate.
© Archivio Claudio Abate.
Pino Pascali, Cannone Bella Ciao (1965), studio dell’artista, 1965, Roma.
Foto Claudio Abate. ©Archivio Claudio Abate.

“Ciò che faccio non è una ricerca di forma. È un modo di verificare, partendo da un altro punto di vista, ciò che altri hanno già fatto. Una modalità di verificare il mio sistema comparandolo agli altri”.

– Pino Pascali

Le stanze che simulano le dimensioni spaziali originali delle gallerie in cui Pascali ha esposto permettono ai visitatori di sperimentare le modalità allestitive non convenzionali utilizzate dall’artista. Questi volumi ricostruiscono gli ambienti creati per la sua prima personale alla Galleria La Tartaruga (Roma, 1965) con due serie che includono, da un lato, Primo piano labbra e La gravida o Maternità, e dall’altro Colosseo, Ruderi sul prato e Muro di pietra. La mostra alla Galleria Sperone di Torino del 1966 è presentata con la serie delle Armi e quelle per la Galleria L’Attico del 1966 e 1968 con la serie degli Animali, Botole ovvero Lavori in corso e sculture di lana, tra cui Trappola. Le opere per la presentazione monografica alla Biennale d’Arte (Venezia, 1968) includono Cesto, Contropelo, Pelo, Ponte levatoio e Solitario. La seconda sezione è dedicata ai materiali naturali e industriali impiegati da Pascali, approfondendone la provenienza, l’impiego in ambito commerciale, l’uso fatto dagli altri artisti e la loro trasformazione nel tempo. I visitatori attraversano diverse aree, ciascuna delle quali si concentra su uno specifico materiale come tela, tintura, terra, eternit, pelliccia sintetica, lana d’acciaio, gommapiuma, parti di automobili, fieno e scovoli. La terza sezione si snoda nella galleria Nord e testimonia il contributo fondamentale di Pascali in occasione di tre mostre collettive fondamentali: Fuoco Immagine Acqua Terra, Cinquième Biennale de Paris: Manifestation Biennale et Internationale des Jeunes Artistes, presso il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris (Parigi, 1967); e Arte Povera a cura di Germano Celant presso la Galleria de Foscherari (Bologna, 1968). Nella galleria Sud, la quarta sezione investiga le modalità con cui Pascali appariva insieme alle sue sculture in fotografie storiche scattate da Claudio Abate, Ugo Mulas e Andrea Taverna e nel video in 16mm SKMP2 (1968), girato da Luca Maria Patella.

Pino Pascali, Vedova blu, 1968. mumok – Museum moderner Kunst Stiftung Ludwig Wien, Leihgabe der Österreichischen Ludwig-Stiftung. In prestito dall’Austrian Ludwig Foundation dal 1981.
Immagine della mostra “Pino Pascali”, Fondazione Prada, Milano. Foto Roberto Marossi.
Courtesy Fondazione Prada.
Immagine della mostra “Pino Pascali”, Fondazione Prada, Milano. Foto Roberto Marossi.
Courtesy Fondazione Prada.
Immagine della mostra “Pino Pascali”, Fondazione Prada, Milano. Foto Roberto Marossi.
Courtesy Fondazione Prada.

Per maggiori informazioni fondazioneprada.org.

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