Miniabiti in tweed, spille e perle abbondano in Thomas Street, mentre il tricolore distintivo del Manchester United–rosso, bianco e nero–domina nei berretti e sulle sciarpe. E poi i maglioni in cashmere, questa volta ispirati alle grafiche dei volantini dei nightclub della Manchester anni Novanta, abilmente intarsiati. C’è tutta la tipicità Chanel in questa collezione, eppure Virginie Vard è riuscita a dimostrare quanto stiano bene insieme l’eredità di Coco e il substrato mancuniano. Omaggia la classe operaia degli anni Sessanta e Ottanta grazie alle gambe nude, le frange laterali, i miniabiti al ginocchio e a trapezio, i pantaloncini da ciclista accostati a cappotti, i berretti e le cinture a catena; ma anche le icone femminili della New Wave era, grazie alla vernice nera e ai baby-doll arricchiti da ricami impreziositi dalle iconiche spille a doppia C. La cultura british è racchiusa nelle minigonne a godet, i bermuda, le camicie e gli abiti a cappotto, tutti caratterizzati dal tweed. I look sono arricchiti da cappelli alla marinara, rosette a forma di camelia e orli arricciati. Chanel ha reinventato i babydoll e le sottovesti in stile anni Sessanta con pizzi aperti e ricami intricati, arricchiti da fili di perle o sciarpe con il logo di una squadra di calcio: la donna Chanel è una femme senza età, capace di oscillare tra i venti e i quaranta con una grazia senza pari.
“Il tweed è al centro di questa collezione. Ho pensato molto a Gabrielle Chanel, ma non volevo ricreare il look di Coco, quando indossava le giacche del Duca di Westminster.”
Abiti, borse e fili di perle si dispongono attorno a una palette volutamente in contrasto con il cielo inglese, che spazia dal rosa salmone all’arancio zucca, dal verde mela alla senape, dall’azzurro al rosso e al bordeaux, dando spazio a una scena squisitamente femminile ma allo stesso tempo singolare. L’ispirazione di Coco Chanel nell’uso del colore è forte negli iconici tailleur in tweed, qui reinterpretati in molteplici varianti che richiamano le silhouette sagomate e abbreviate dei cosiddetti sixties. L’invito alla sfilata, una fusione di arancione e nero, ha volutamente proposto un collage di immagini legate alle controculture della città di Manchester: il design a righe dell’Hacienda nightclub, le suffragette in protesta insieme alle loro figlie, Emmeline Pankhurst, un’immagine d’archivio di The Factory, la sede della Factory Records fondata da Tony Wilson e Alan Erasmus nel 1978, e una fotografia dei Joy Division scattata nel 1979 sotto la neve sul ponte Epping Walk di Hulme da Kevin Cummins. Se le precedenti sfilate di Métiers d’art si sono svolte tra il Ritz di Parigi e negli studi felliniani di Cinecittà a Roma (o nel palazzo scozzese di Linlithgow, sede degli Stuart nel XV secolo, nel 2012), Viard ha intrapreso un cambio di rotta dettato da un approccio più audace. Ispirandosi non solo alle vaste fabbriche industriali della Gran Bretagna, ma anche all’energia pulsante della scena musicale della città, Virginie ha creato un equilibrio magistrale tra sacro e profano.
“Troppe cose accadono solo Londra e volevamo essere nel Regno Unito al di fuori di Londra. Abbiamo deciso di venire a Manchester perché era la fonte d’ispirazione più significativa per Virginie: lei si è lasciata ispirare dalla musica e dall’arte che si trovano qui, e abbiamo ricevuto un caloroso benvenuto.”