London, January 17th, 2024
KUDZANAI-VIOLET HWAMI IN CONVERSAZIONE CON MARCO GALVAN
Mescolando passato e presente, le sue tele combinano frammenti visivi provenienti da una molteplicità di fonti, come immagini trovate online e fotografie personali. Attraverso l’utilizzo di vari media, Hwami altera memorie e relazioni personali unendo elementi tradizionali con aspetti contemporanei digitali. Il suo approccio al ritratto infonde nuova vita a momenti quotidiani, trasformandoli in spazi che suscitano riflessioni e che mettono in discussione le visioni convenzionali dell’identità. Con colori vibranti, texture complesse e immagini digitalmente composte, ogni opera racconta la storia del percorso di Hwami come artista e come persona queer di colore. Radicati nelle narrazioni storiche e spirituali della sua nativa Zimbabwe, i suoi quadri svelano in modo eloquente l’intreccio complesso in cui le storie si dipanano attraverso generazioni, storie e luoghi. Le stratificazioni delle sue tele vanno oltre il semplice aspetto visivo; rappresentano un viaggio di migrazione, diaspora e il desiderio di riallacciarsi alle radici culturali, nonché una critica alla rappresentazione contemporanea di genere, sessualità e del corpo umano. Nel contesto digitale contemporaneo, l’incrocio temporale di Hwami unisce luoghi vicini e lontani, generazioni passate e presenti. Guidando gli spettatori in un regno dove tempo, memoria e identità convergono, le sue opere invitano ad una riflessione sulla natura sfaccettata dell’esistenza e sui legami duraturi con il passato, trascendendo la semplice rappresentazione di singoli istanti.
MG Le tue opere attingono alla tua infanzia in Zimbabwe in Sudafrica, incorporando vari frammenti visivi, come ritratti e immagini prese da internet. In che modo queste influenze creano la narrativa delle tue opere, in particolare nel contesto della sovrapposizione del passato e del presente?
KVH Le mie opere sono semplicemente un’estensione della persona che sono diventata, della storia e delle persone della mia famiglia che hanno contribuito a farmi diventare chi sono. Credo che ogni persona che incontriamo incarna la propria sovrapposizione di passato e presente, come un universo che ne contiene molti altri. Penso che le mie opere siano per lo più volte a tener traccia di questa rete di interazioni e possibilità che riflettono come ognuno costruisce un senso di sé, un senso in costante mutamento.
MG La tua installazione per la Biennale di Venezia del 2022, The Milk of Dreams, integrava fotografie in vinile in bianco e nero accompagnate da alcune tracce audio. Questa combinazione di elementi riflette l’interconnessione delle esperienze?
KVH La mia intenzione con il progetto per la Biennale era creare un ambiente immersivo, che stimolasse e catturasse il maggior numero possibile di sensi dello spettatore. Quando ricordo le cose che mi hanno toccato profondamente, quelle che mi hanno lasciato davvero un segno, ricordo molto più che il solo aspetto visivo. Con The Milk of Dreams volevo condividere qualcosa di più intimo, l’esposizione ha permesso un ampliamento della mia pratica artistica che mi è sembrato naturale e necessario. Quando dipingo, mi nutro di musica, libri illustrati, teatro, poesia e danza. Ho scoperto che c’è qualcosa di molto liberatorio nel superare i parametri della tela.
MG Con richiami al realismo magico e all’afro-futurismo, nelle tue opere unisci spesso elementi culturali tradizionali con aspetti digitali contemporanei, suscitando interrogativi sulla rappresentazione, la sessualità, il genere e la spiritualità. A che livello natura e umano si fondono nel tuo lavoro?
KVH Il post-umano e la natura si fondono, più che l’umano e la natura. Con nudi privi di genitali, immagini pixelate, ecc., forse il mio lavoro cerca di inquadrare un’alternativa in cui siamo in grado di superare i limiti biologici nella ricerca della liberazione. (Forse…) È un work in progress. Accanto alla dualità del maschile e del femminile, c’è un’altra grande dualità dentro di me: una fascinazione per l’estrema modernità – per l’intelligenza artificiale, i robot, gli ologrammi, gli algoritmi interattivi – e un forte desiderio di vivere in un luogo remoto, a contatto con la natura. Per me, la natura non solo fornisce tutte le risorse essenziali per la sopravvivenza umana, ma funge anche da fonte di creatività e idee. Questo dualismo esplode spesso in modo piuttosto caotico e contrastante e si traduce nelle mie opere attraverso il processo del collage. Penso che sia rappresentativo delle complessità della nostra condizione umana, con frammenti disparati che devono coesistere su un piano.
MG Le opere che hai presentato nella tua mostra personale A Making of Ghosts da Victoria Miro a Londra giocano in modo unico con la scala e la prospettiva. Come si inserisce questa manipolazione e frammentazione intenzionale nella tua esplorazione della costruzione e presentazione dell’identità?
KVH In A Making of Ghosts ho enfatizzato il concetto di frammentazione, esplorando ulteriormente l’astrazione ed estendendo il concetto anche alle carte da parati che ho applicato alle pareti della galleria. Inoltre, nel testo che accompagnava l’esposizione, scritto dalla mia cara amica Ru- vimbo Gumbochuma, c’è una sorta di ritornello che spezza e contemporaneamente unisce il ritmo della litania. In questo caso, volevo dare voce ai sentimenti di disorientamento e abbandono che mi avevano accompagnato durante l’anno precedente, causati dal dolore e dalla perdita di persone importanti nella mia vita. Questo era il modo in cui volevo rappresentare l’esperienza di sentirsi frantumato.
MG La dislocazione geografica e lo spostarsi sembrano influenzare profondamente la tua esplorazione sui temi dell’identità e della comunità. Il modo in cui rappresenti il corpo nero con toni scuri spesso contrasta colori intensi e sfumature vivaci. Pensi che queste giustapposizioni contribuiscano alla tensione tra visibilità e identità velata nelle tue opere?
KVH La scelta dei colori è più una questione di stile che di significato, in un certo senso, serve a uno scopo pratico, nel concepire una composizione che mi sembri adeguata. Oltre alla mia intenzione di dare visibilità all’essere umano nero (e non al corpo), nel mio lavoro c’è molta attenzione ai dettagli, alla simmetria e all’ordine. L’immagine finale è il risultato di un lungo processo durante il quale possono esserci numerosi ritocchi e cambi nelle scelte dei colori. Noto che i miei dipinti di qualche anno fa erano più vivaci e leggeri rispetto a quelli che realizzo ora. Al momento, le mie opere e composizioni sembrano propendere per un’atmosfera più cupa, ma penso che ciò rifletta semplicemente le naturali fluttuazioni della vita.
Leggi l’intervista completa sul numero di Febbraio, Issue 63.