MANIFESTO

#64

MUSE TWENTY FANZINE

ALVARO BARRINGTON

2024.09.13

Interview MADDALENA IODICE

Photography JAMES HARVEY-KELLEY

Alvaro Barrington racconta GRACE, un’installazione site-specific realizzata in occasione della Tate Britain Commission.

London, May 30th

 

 

Alvaro Barrington in conversation with Maddalena Iodice

Come ti senti?
AB   Bene, anche se esausto. Faccio fatica a pensare, non abbiamo fatto altro negli ultimi mesi.

 

Mi piacerebbe partire dalla Tate Commission, dai primi momenti del progetto. Gli interventi artistici precedenti, come quelli di Phyllida Barlow 2014, Mike Nelson 2019 or Heather Phillipson, hanno sollevato degli spunti di riflessione rispetto alla maniera in cui intervenire negli spazi del museo?
AB   Ci sono due aspetti, le caratteristiche formali dello spazio e come questi artisti in passato vi hanno interagito. Le gallerie Duveen furono costruite per ospitare le sculture di Henry Moore, in modo che attraversandole, si potesse incontrare il suo bellissimo lavoro. Molti artisti hanno trattato gli ambienti in maniera simile, approccio che trovo interessante. Quando non impegnate con l’annuale Commissione, le gallerie sono dedicate a mostre incredibili come quella di Rachel Whiteread, che ammiro molto. Riflettendo sul carattere dello spazio mi sono domandato quale fosse il valore di mostrare il mio lavoro presso la Tate Britain, ho pensato alla prossimità del Museo con l’acqua, al fatto che a Londra spesso piove a lungo. Un giorno diluviava, decido di ripararmi alla Tate dove per entrare è necessario passare un controllo di sicurezza. Varcato l’ingresso penso se questo è ciò che la maggior parte delle persone sperimenta, lo step successivo dovrebbe essere trovare un luogo in cui riposarsi un po’.

Alvaro Barrington by James Harvey-Kelley.
Sweater bottega veneta.
Installation image from Alvaro Barrington: Content Grace,
Duveen Galleries, Tate Britain, 29 May 2024 – 26 January 2025.
Photo: Robert Glowacki.
Installation image from Alvaro Barrington: Grace, Duveen Galleries, Tate Britain, 29 May 2024 – 26 January 2025. Photo: George Darrell.

In effetti l’ambiente del museo è piuttosto autoritario. Non solo per la sontuosa architettura neoclassica, ma anche per la procedura d’ingresso.
AB   Sì esatto, per lavorare in quel contesto è stato necessario considerare questi aspetti, pensare al percorso che le persone compiono prima di poter accedere alle opere d’arte esposte.

 

Il corpo ha un ruolo centrale nella mostra. Non solo nel modo in cui viene rappresentato attraverso presenza e assenza ma anche per come il tuo lavoro interagisce con il corpo del pubblico. Le opere chiedono di essere attivate, creando un’interessante tensione rispetto a come il pubblico è normalmente chiamato a comportarsi nel contesto museale, dove solo camminare, guardare e sedersi è consentito.AB   Ero infatti incuriosito dall’idea di essere in uno spazio dove non è concesso toccare nulla, un aspetto che si collega al ricordo del tempo trascorso con mia nonna. Nel suo soggiorno tutto era protetto da teli di plastica, che solo in occasioni speciali e alla presenza di ospiti venivano tolti. Il servizio di piatti buoni e ninnoli di vario genere erano contenuti in una bellissima credenza, che io e i miei cugini non eravamo autorizzati a toccare, eppure ci mettevamo sempre nei guai. Attingere alla mia storia personale mi ha permesso di interagire con gli ambienti del museo e incorporare elementi come il suono della pioggia. Il primo atrio nel quale sono disposte le panche coperte dai teli di plastica, è pensato per essere un luogo di riposo. Riflettendo sulle caratteristiche del riposo…

…La musica è entrata in gioco.
AB   Sì, amo la musica. Essendo un quarantenne non la scopro più nello stesso modo in cui lo facevo da giovane. Mia nipote mi prende sempre in giro, sostiene che ascolti roba vecchia. Mi sono chiesto com’era quando della musica m’innamoravo? Non facevo altro che stare seduto in salotto, ascoltando il suono della pioggia, la radio. Durante la produzione dell’installazione ci siamo resi conto che il suono dell’acqua e del temporale erano come una colonna sonora. È così che ci è venuta l’idea di mixarli con la musica di artisti che ammiro.

 

La mostra ha un ritmo che cambia mano mano che ci si sposta da una stanza all’altra. Dal flusso sonoro del primo atrio, al secondo dove le persone sono invitate a suonare il tamburo collettivo tipico del carnevale caraibico, fino alla terza in cui il suono ripetitivo della saracinesca produce un’atmosfera cupa e meditativa. Sei partito dalla tua storia personale, ma hai creato una narrazione con la quale molti possono relazionarsi.
AB   Penso sempre che i grandi artisti debbano essere profondamente personali ma non in maniera diaristica. A volte quando si legge il diario di qualcuno ci si sente come dei voyeur, può essere interessante, ma non è la direzione in cui volevo andare con questa mostra. Ammiro moltissimo Tracey Emin per la sua capacità di affrontare il personale, il suo approccio è tra quelli che mi hanno ispirato nell’articolare la mia esperienza.

Alvaro Barrington by James Harvey-Kelley.
Sweater bottega veneta.

“It is through the art that we connect to people who are down for the same ride and hopefully we can create a culture people recognize themselves in. As an artist I just have to be honest and let people feel”.

– Alvaro Barrington

Cosa hai imparato sulla tua pratica artistica attraverso il lavoro sviluppato per questa Commissione?
AB   L’aspetto più sfidante è stato che, essendo un pittore, i momenti in cui mi sento più a mio agio sono quelli che passo nel mio studio, dipingendo, sfogliando libri, andando nei musei e tornando a lavoro pensando alle opere degli artisti che ho visto. Ma mi sono reso conto che appendere dei quadri alle pareti sarebbe stata probabilmente la cosa meno interessante da fare per questo progetto. Quindi ho riflettuto sulla nozione di cornice e su come potessi incorniciare qualcosa in una maniera più interessante che un quadrato attorno a un dipinto. Mi sono chiesto come posso incorniciare i miei dipinti attraverso un’installazione? È così che sono nate le collaborazioni con Teresa Farrell, Femi Adeyemi, Kelman Duran, Andrew Hale, Devonté Hynes, Olukemi Lijadu, Mangrove Steelband, Samantha Harrison, L’Enchanteur, Jawara Alleyne, e Mica Hendricks. Ho portato il mio team a Milano, Firenze, Venezia, Roma, per vedere le chiese. Attraversandole ho realizzato quanto l’esperienza dell’essere in una chiesa, di scoprirvi dentro un Caravaggio, era incorniciata dall’obelisco nel piazzale antistante, dal quartiere per il quale la chiesa stessa era stata costruita. Tutti questi strati erano importanti tanto quanto l’opera stessa, e questo ha messo in chiaro l’importanza di lavorare con persone appassionate quanto noi.

 

Cosa hanno significato queste collaborazioni per l’evoluzione del lavoro?
AB   Tenere davvero in considerazione i nostri collaboratori e lasciare che le idee evolvessero. Parlando con Samantha della scultura femminile, mi sono reso conto che se l’avessi dipinta il lavoro avrebbe raccontato qualcosa di completamente diverso. Ma trattandosi di una scultura vestita, decorata, truccata ciò che racconta è la maniera in cui la comunità del carnevale dipinge. Non con la pittura, ma attraverso l’abbinamento di abiti, colori e la percezione del corpo. Nella galleria circolare i miei dipinti non sono altro che quinte di scena perché la scultura di Samantha possa brillare. Mi sono ispirato agli sfondi teatrali di Rauschenberg, Picasso e i Dadaisti.

 

Leggi l’intervista completa sul numero di settembre, Issue 64.

 

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