MANIFESTO

#63

CHANGE OF SPACE

ANNE IMHOF

2021.09.14

Interview by HANS ULRICH OBRIST
Photography by NADINE FRACZKOWSKI

Anne Imhof in conversazione con Hans Ulrich Obrist, racconta della sua “Natures Mortes” a Palais de Tokyo, e dei suoi futuri progetti.

HUO Partiamo dalle origini. Parlami un po’ della tua borsa di studio in Francia.
AI Ho avuto la borsa di studio per un anno. Poi ho ricevuto un invito per il Carre D’Art a Nimes, ed ho chiesto loro se potevano prolungarla per altri sei mesi. Da lì ho iniziato a fare pezzi e creare molta musica. Andavamo fuori la maggior parte del tempo e creavamo per la strada. Passavamo tutto il giorno fuori, negli spazi pubblici.
HUO Quindi gli spazi pubblici erano la tua sala prova?
AI Sì, potremmo definirla così. Era davvero bello. L’intenzione era semplicemente di creare qualcosa, “Facciamo qualcosa qui”, era molto vicino al nostro quotidiano e quindi tutto molto connesso.
HOU Come è nata l’idea?
AI Ai tempi Nadine viveva a Parigi e la girava in ogni suo angolo. Conosceva i posti fuori dal centro città. Così abbiamo aspettato che la gente se ne andasse, per fare le registrazioni. Créteil e Ivry erano le ultime stazioni della metropolitana…
HUO É lì che andavi?
AI Esattamente. A Stalingrado (stazione della metropolitana a Parigi) ci sono dei campi sportivi che sono più isolati. Poi c’era una ex stazione ferroviaria, chiamata Le Petit Ceinture. Qui trovavi un’entrata alle catacombe e un lungo tunnel: percorrerlo interrompeva il tempo, eri solo ma ancora in mezzo alla città.
HUO E quali tipi di pezzi o frammenti sono stati testati successivamente?
AI Soprattutto Rage e Pickpocket.
HUO Questa è la tua prima grande mostra a Parigi, o sbaglio? Non hai mai esposto qui prima d’ora, giusto?
AI Sono stata invitata una volta con un solo pezzo con il MoMA PS1. C’era un festival e io ne facevo parte. È divertente pensare che era esattamente nella stessa stanza dove facciamo le prove ora.
HUO Quindi fai le tue prove qui?
AI Sì.
HUO Ci sarà una performance dal vivo quindi?

Anne Imhof in Burberry, fotografata da Nadine Fraczkowski.

AI Sì, probabilmente il 14 Ottobre. Penso sia incredibile che abbia aperto senza nessuna performance.
HUO Era la prima volta?
AI Una volta, al Castello di Rivoli, abbiamo aperto senza performance, ma a causa della pandemia. In entrambi i casi mi ha concesso di vedere le cose da una prospettiva diversa e ho potuto concentrarmi di più su altri lavori.
HUO TuttI i muri sono stati demoliti.
AI Sì, anche se non è durato troppo. È arrivato tardi rispetto a tutto il processo d’installazione, ma è stato piuttosto spettacolare. Ci è voluto tanto tempo e ho potuto passare parecchio tempo qui.
HUO Quindi, poiché tutto è stato rimosso, lo spettatore si è trovato di fronte ad un corpo spaziale fragile e vuoto, si vedono solo questi pilastri ora.
AI Sì, sapevo che sarebbe stato uno spazio enorme, ma ho anche pensato che sarebbe stato incredibile goderselo. Quando l’ho fatto, all’inizio ho pensato “Wow c’è così tanto spazio”, constatando che certi posti sono belli così, ma poi è venuta l’idea di invitare altri artisti. Mi è piaciuto osservali. È stata una grande esperienza. Ho capito quando i pezzi sono stati installati, che tipo di forza avevano. Avevano un grande potere artistico interiore.
HUO Come è stato strutturato? Hai rimosso tutto e poi hai aggiunto alcune parti successivamente? Avevi un piano generale o è successo tutto organicamente?
AI Penso che si sia sviluppato organicamente perché i pezzi improvvisamente hanno funzionato per conto proprio. C’è così tanto in ognuno di loro, così tanto lavoro e determinazione, come se fosse la storia della vita di qualcuno. Non si può vedere subito la loro connessione e questo è un bene.
HUO  C’è stato un punto di partenza? Voglio dire, la tua struttura è al centro di tutto, così come il suono e il video di te ed Eliza (Douglas). C’erano dei punti fissi?
AI È difficile spiegare quale sia stato il punto di fuga. Provo sempre a fare le cose simultaneamente il più a lungo possibile, ma il punto d’uscita rimane il materiale, il vetro in questo caso.

Nature Mortes scattata da Nadine Fraczkowski.

HUO  Il vetro l’avete trovato?
AI Sì, grazie ad Andrea Faraguna e Niklas Bildstein Zaar. Quando ho lavorato con loro, mi hanno mostrato una foto di una casa in Italia, perché sapevano che sarei stata interessata a lavorare con il vetro. Solo che allora era davvero difficile, anche perché sarebbe stato impossibile rimuovere il vetro dall’edificio senza frantumarlo. Non potevo ricevere nessun campione e non potevo di certo volare fin là solo per dare un’occhiata. Così è stato prodotto qui e l’idea di un labirinto era proprio il fulcro di tutto, volevo creare un labirinto.
HUO Così lo hai disegnato?
AI Sì, ma non è veramente un labirinto. Lo ricorda, e hai come la sensazione di poterlo attraversare. L’idea era che i pezzi d’arte fossero collocati all’interno, per riconoscere l’infinito o per mostrare la diversa temporalità dei pezzi. Ho immaginato che funzionasse come un mausoleo, dove si potesse celebrare l’arte, percorribile al suo interno e a velocità differenti.
HUO Si può seguire qualsiasi percorso o direzione. Non c’è un’unica via.
AI Sì, esatto, lontano dal centro e contro ogni direzione, questo era importante per me.
HUO Eliza ha composto tutta la musica?

AI Sì, tutta. Mi piace l’idea della musica. Il suono è come se sanguinasse. Sanguina in tutte le diverse stanze. Poi scorre, si fonde l’uno nell’altro. Naturalmente potrebbe sembrare una cacofonia perché nulla è stato prodotto insieme. Il suono è un po’ inquietante, perché è forte ed è instabile e costante… si sente il suono già al piano di sopra e questo è piuttosto interessante.
HUO Sì, è un magnifico sanguinamento. I suoni si fondono tra loro anche grazie all’assenza di pareti, giusto?
AI Sì, ma anche le cose nel mezzo sono importanti. Passiamo molto tempo a regolare il volume del suono e quando improvvisamente 10 persone sono dentro, suono e volume cambiano. All’inizio non mi era chiaro dove fosse il confine, come posizionare le opere d’arte e quale musica scegliere. Poi è stato chiaro che alcuni suoni si sarebbero ripetuti. Per esempio un suono, che è al piano di sopra, è lo stesso del piano di sotto nella stanza verde, la numero 37.
HUO Mi viene in mente quello che ha detto Margaret Mead una volta: “Se si stimola solo la vista, le persone tendono a dedicare meno tempo ai rituali. Solo se si stimolano tutti i sensi, le persone dedicano molto più tempo a  rituali e mostre”. E la gente passa un bel po’ di tempo alla tua mostra, almeno secondo la mia impressione.
AI Penso che questo senso di perdizione piaccia alla gente. Intendo perdere il controllo e lasciarsi trasportare dal cambiamento.
HUO Questo lavoro lo hai sviluppato proprio durante la pandemia. Quindi la pandemia è in qualche modo presente nel tuo lavoro?
AI Sì, assolutamente. La singolarità. Ho sempre pensato che il lavoro precedente, per esempio quello di Londra, riguardasse più la solitudine o l’isolamento.
HUO Sì, quello in Picadilly del 1° Gennaio 2021.


Continua a leggere su MUSE September Issue 58.

"Natures Mortes", installazione scattata da Nadine Fraczkowski.

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