Dopo il successo dello scorso anno a Parigi, Sally Gabori giunge in Italia per la prima volta, grazie alla collaborazione tra Triennale Milano, Fondation Cartier, e la famiglia dell’artista, che con grande entusiasmo aiuta nella realizzazione della mostra retrospettiva. Inizia a dipingere intorno agli ottant’anni, nel 2005, e presto raggiunge una fama nazionale e internazionale. In pochi anni di rara intensità creativa, e prima della sua morte nel 2015, sviluppa una collezione di opere unica, dai colori vivaci e senza legami apparenti con altre correnti estetiche, in particolare con la pittura aborigena contemporanea. È curioso come un’artista inizi la sua carriera così tardi, infatti la storia della sua vita è fondamentale per comprendere fino in fondo i suoi lavori e apprezzare ulteriormente le immagini astratte rappresentate. Sally Gabori è aborigena della popolazione Kaiardilt, su un’isola nel nord dell’Australia, che conta circa centoventisei abitanti. Il suo nome originario, Mirdidingkingathi Juwarnda, deriva dalla cultura della sua terra, alla quale rimane per sempre legata. Cresce lontana da tutto e da tutti, dedicandosi alla pesca, quando un giorno, a seguito di un maremoto, la sua vita viene stravolta: portata su un’isola più grande dove vive da sfollata, per anni cerca costantemente di combattere per il riconoscimento dei diritti delle popolazioni aborigene.
“La pittura ha riempito tutto il vuoto che avevano lasciato le cose, e le persone che aveva perso durante la sua vita.”
Tra divieti, vita impossibile e battaglie, Sally Gabori incontra l’arte: si reca casualmente all’Art Center per chiedere un’informazione e si trattiene per il workshop di pittura a cui si appassiona velocemente. A ottant’anni inizia a dipingere tutti i giorni, realizzando tele con un significato profondo per se stessa, per la famiglia e per la sua amata popolazione. Le immagini sono narrazioni che celebrano i diversi luoghi della sua isola natale, associati anche alla lotta politica per il riconoscimento dei diritti fondiari dei Kaiadilt. La sua immaginazione si riconosce nelle forti pennellate colorate, che mostrano le diverse tonalità e luci che modificavano una volta il paesaggio. La pittura per l’ultimo decennio della sua vita è stato l’unico modo di comunicare: in un momento in cui non conosceva l’inglese e la lingua nativa era in via d’estinzione, l’arte è stato una nuova modalità d’espressione, necessaria ed urgente. La mostra a Milano presenta una trentina di dipinti monumentali per rendere omaggio all’artista, la cui opera continua ad affascinare per il suo carattere spontaneo, luminoso e profondamente originale. Nella sua breve carriera Gabori lavora su tele sempre più grandi, fino ad arrivare ad utilizzare sei metri per eseguire lavori in collaborazione con le sorelle e figlie, mostrando una visione collettiva e rafforzando l’dea di comunità. La mostra invita lo spettatore a sognare tra le enormi opere che formano un gruppo equilibrato di forme e colori. I toni neutri come il bianco e il nero sono mixati a tonalità brillanti tra cui il fucsia, il giallo, il rosso e l’arancio, il turchese e il blu. Osservando le immagini si percepisce l’energia dell’artista e la sua passione si trasferisce direttamente allo spettatore, che è spinto a riflettere sulle tematiche presentate. L’astrattismo di Sally Gabori parla, racconta storie e ricorda la vita di un popolo spostato dalla propria terra mantenendo sempre un tono gioioso e ricco di felicità.
“L’arte è la mia terra, il mio cielo, è ciò che sono io.”
Per maggiori informazioni triennale.org.