Jonathan Anderson sente l’esigenza di ridurre all’essenziale la collezione Autunno Inverno 23 di Loewe: in un periodo di totale estroversione, la sfilata femminile limita tutti quegli elementi che possono sembrare superflui, mettendo al centro dell’attenzione il concetto di semplicità: sottolinea l’importanza delle linee, delle stampe e il modo in cui i materiali interagiscono con il corpo e con la pelle. Il nostro presente è confuso, in movimento e spesso è anche una messa in scena. Il Direttore Creativo utilizza come base per la collezione l’immagine che abbiamo del mondo esterno per realizzare una serie di capi che giocano con l’occhio attento del pubblico, destabilizzandolo e mettendolo in una situazione di incertezza. “Cosa di tutto ciò è vero e cosa è falso?”: Anderson realizza semplici tuniche in raso bianco sovrastampate con immagini sfocate di abiti colorati suggerendoci di mettere a fuoco ciò che ci può sembrare poco chiaro nel presente e nel futuro. L’inganno messo in atto da Loewe confonde ancora di più chi guarda i suoi “fantasmi”, così li chiama lui, attraverso lo schermo del computer o dello smartphone, dove risulta ancora più difficile distinguere la realtà dalla finzione, proprio come nella nostra quotidianità. I primi look che calpestano la passerella creano subito quel senso di disorientamento nel pubblico, che si focalizza sulle stampe: abiti, trench e cappotti di pelliccia sintetica diventano solo un’impressione, come un fantasma che svanisce e poi ritorna, ma non si sa se rimane.
“Mi affascinava la psicologia del modo in cui vediamo le cose online. L’aspetto sfocato in movimento sembra un’anomalia. È fuori fuoco.
È una messa in scena o non è una messa in scena?
È il colore giusto, è photoshoppato?”.
T-shirt e pantaloni sono realizzati interamente in piume d’oca, mentre i capi statici, calcolati per apparire piatti sullo schermo, nella realtà hanno un volume rigido, tubolare e sporgente. Jonathan Anderson prosegue lungo tutta la collezione a mixare elementi reali con altri di finzione, in modo tale che il pubblico metta in discussione ogni look che vede passare davanti a sé. Semplici e normali cardigan che appaiono stropicciati, in realtà sono due immagini stampate su carta adesiva e incollate direttamente sulla pelle delle modelle. Le rifiniture, i bottoni e i dettagli non fanno pensare che si tratti di qualcosa di irreale, sopratutto per chi non è in loco ad osservare più da vicino la sfilata, che non si può rendere conto del volume inesistente del maglione. I capi sono declinati nella loro forma più semplice possibile: le linee sono basiche e un dettaglio, o un gesto della modella, crea l’intera silhouette. Braccia piegate o singole spille sostengono veli che raccolti creano volume e drappeggi. Lungo la collezione scorre fluidità, curve e improvviso compattamento. Anderson si dedica anche alla pelle pregiata e al camoscio, simboli significativi per il marchio, utilizzando i materiali per interi ensemble composti da blazer e pantaloni a gamba larga. Gli accessori Loewe diventano gli oggetti più desiderati nel momento stesso in cui salgono in passerella: le Puzzle bag sono in formato oversize, la Squeeze è realizzata in un’irresistibile e morbidissima pelle con un manico squishy e un dettaglio con catena a ciambella. Per le calzature invece gli stivali a punta arrotondata cadono morbidi sulle caviglie e fiocchi esagerati adornano le punte di slanciate décolleté.
“Come si fa a passare da un aspetto surrealista a qualcosa che riguarda più il modo in cui vediamo gli abiti oggi? Penso che sia una sorta di riduzione. Vogliamo perfezionare, e perfezionare.”
La necessità di semplificare il complesso è dimostrata anche attraverso la location: il pubblico è invitato al Castello di Vincent, una struttura ricca di dettagli in un luogo con anni di storia alle spalle che si trova appena fuori dal centro di Parigi. Gli invitati dopo aver osservato il fantastico paesaggio sono accompagnati ad entrare in cubo neutro, asettico, posto al centro dell’ingresso, dove si svolgerà la sfilata. All’interno tutto appare bianco eccetto delle installazioni realizzate da Lara Favaretto: 21 blocchi quadrati composti da circa 10 tonnellate di coriandoli che si sparpagliano per tutta la stanza generando un passaggio che viene eroso dai soggetti che lo attraversano. L’artista infatti utilizza materiali fragili per creare opere che abbracciano l’inevitabilità del collasso. Jonathan Anderson rende personale il concetto di semplicità, ma come ci si aspetta da lui, non in modo semplice: l’inganno che pone al pubblico è un modo per riflettere sulla nostra visione del presente e del futuro. Una collezione che appare ancora più confusa attraverso lo schermo che noi tutti siamo abituati a guardare lungo la giornata, non chiedendoci più se ciò che vediamo è vero o falso.