MANIFESTO

#63

CHANGE OF SPACE

LILY STOCKMAN

2023.09.14

Photography YE RIN MOK

Interview MADDALENA IODICE

Per me è fondamentale questo contatto con la terra, poter coltivare e crescere queste piante. Se non fossi diventata una pittrice, sarei una giardiniera. […] Sono come una gazza ladra. Rubo idee direttamente dalla natura, non c’è nulla di originale nei miei colori.

LILY STOCKMAN IN CONVERSAZIONE CON MADDALENA IODICE 

 

Il lessico visuale di Lily Stockman proviene dalle sue prime esperienze nella natura quando da bambina assieme alle sue sorelle, passava il tempo all’aperto giocando nei campi o imparando i nomi comuni e latini delle piante grazie alla nonna orticoltrice. È attraverso questo primo repertorio di parole che ha preso coscienza del mondo, articolando vivide suggestioni dell’esperienza di essere nella e con la natura. Una sensibilità vibrante in forma e contenuto, la sua pratica ibrida il discorso artistico dei primi modernisti ed astrattisti americani con la maestria gestuale e la minuzia appresa prima in Mongolia, dove ha studiato l’arte buddista Thangka, e poi in India dove ha appreso la tecnica miniaturista Mughal. Un denso percorso di ricerca che le permette di trasmutare l’esperienza fisica o la memoria condivisa in voluttuose descrizioni sinestetiche. La qualità biomorfa delle sue astrazioni geometriche in qualche modo suggerisce come, in fondo, ci sia sempre un embrione, un bulbo, un bocciolo all’origine della vita… Lily Stockman ci riporta a un grado zero dell’esistenza, a un principio poetico dove non siamo diversi da un passero dalle piume cobalto o una Camelia scarlatta. Ci ricorda dell’eterna connessione di tutte le cose. 

 

MI Quando mi guardo attorno sembra quasi ci sia una conversazione in corso tra i dipinti e l’architettura della galleria [Massimo de Carlo, Londra]…

LS Questa mostra è senz’altro quella per la quale ho dipinto di più tenendo a mente l’elemento architettonico. I quadri dialogano appunto con lo spazio.

Look ISSEY MIYAKE, pants and shoes artist’s own.

“Mi sono resa conto che i miei dipinti hanno un aspetto voluttuoso che può spesso portare ad una lettura femminista, biologica o sessuale […], ma il mio impulso creativo si genera nella fisiologia dei fiori, nell’esperienza di essere un corpo nella natura.”

– Lily Stockman

Lily Stockman, Great Dixter, 2023. Olio su lino / Oil on linen. 157.5 × 127 × 3.8 cm / 62 × 50 × 1 1/2 inches, unique.
Lily Stockman, Dutch Tulip, 2023. Olio su lino / Oil on linen. 213 × 157.5 × 3.8 cm / 84 × 62 × 1 1/2 inches, unique.
Lily Stockman, Chinati Peak, 2023. Olio su lino / Oil on linen. 122 × 91.5 × 3.8 cm / 48 × 36 × 1 1/2 inches, unique.

MI Come ti sei relazionata con questo luogo, lo conoscevi già?

LS Il team della galleria mi ha fornito un modellino, una serie di video dello spazio e un cartoncino del medesimo colore delle pareti. È buffo perché nelle fotografie questo luminoso verde menta sembrava grigio, almeno per gli standard di L.A., dove il sole è sempre molto intenso. Ma in realtà il colore è corretto per l’atmosfera e la luce tipica del Nord Europa.

MI È incredibile come le sfumature della luce cambino da un luogo all’altro.

LS Conosci Farrow & Ball Paint? È un famoso brand inglese che produce vernici molto costose. Quando si espansero nel Nord America, ricevettero moltissimi resi dalla California perché i colori che avevano prodotto non avevano lo stesso tono nella luce di quei luoghi, così si inventarono una collezione dedicata alla California caratterizzata da nuance leggermente diverse.

MI Parlando di luce, qual è stato l’impulso che ha dato origine a questa serie di opere?

LS È una bella domanda. Gli specchi. Non mi viene in mente nessun’altra galleria con gli specchi sulle pareti. Un aspetto fondamentale per lo sviluppo della serie è stato pensare a come potessi usarli a mio vantaggio, oltre che leggere Le Onde di Virginia Woolf. Nel libro il concetto di riflesso e rifrazione è molto presente. Si manifesta anche sulla superficie del quadro quando la luce rimbalza dal gesso ai sottostrati della pittura. Sono affascinata dalla maniera in cui la luce si muove e da come si possa intravedere il proprio riflesso nel dipinto. Questo aspetto rimanda alla storia dell’arte occidentale e al riflesso d’artista elaborato da Jan Van Eyck. La serie è percorsa da alcuni indizi visuali che come spettatore non devi necessariamente notare per poterla apprezzare. 

MI La copertina della prima edizione di Le Onde di Virginia Woolf fu illustrata da sua sorella Vanessa Bell. La loro relazione è un bellissimo esempio di scambio creativo. C’è un particolare aneddoto legato al rapporto con le tue sorelle che ti ha ispirato?

LS La più giovane, Grier, ha fatto la sua tesi su Virginia Woolf, così quando ho iniziato a lavorare a questa mostra l’ho chiamata, sul momento non mi ha risposto, quindi ho chiamato nostra mamma e chiesto, Ti ricordi quando sei stata a Londra con Grier per andare ad ascoltare quella registrazione speciale di Virginia Woolf? E lei mi ha risposto, Oh sì certo, mi ricordo perfettamente di aver sentito la sua voce! Io poi ho proseguito, Ma mamma, credo che in realtà tu sia andata fino alla British Library per ascoltare la registrazione con Grier che aveva una speciale lettera di raccomandazione del Direttore del dipartimento d’Inglese della Brown University, ma una volta arrivate lì, hai dovuto aspettare fuori perché il tuo nome non era sulla lettera. Grier è entrata in una stanza insonorizzata, dove un archivista con i guanti bianchi le ha fatto ascoltare questa preziosa registrazione. A quel punto mia mamma si è messa a ridere e ha detto, Ora che mi ci fai pensare, penso tu abbia ragione, non mi fecero entrare, in effetti la voce di Virginia Woolf non l’ho mai sentita! Quando poi mia sorella mi ha richiamato, ha messo le cose in chiaro dicendo, Vi sbagliate entrambe, io e mamma siamo semplicemente andate alla British Library, io ho googlato “registrazione di Virginia Woolf che legge” e ascoltato una traccia audio, tipo su Youtube. Buffo, avevamo tutte versioni molto diverse della storia… La memoria condivisa di quell’esperienza mi ha fatto realizzare lo strato impressionista della memoria collettiva essere il modo migliore per interagire con Virginia Woolf. Nulla avrebbe potuto essere più Woolfiano!

MI In un’intervista recente, parlando della pressione del pennello sulla tela, racconti di come sia possibile vedere dove espiri e dove prendi fiato. L’arte è davvero una pratica insita al corpo… Di recente ti sei confrontata con formati più grandi, come ha influenzato il dialogo con la superficie pittorica?

LS Due formati diversi danno origine a due dipinti completamente differenti e due diverse esperienze dello sguardo. Rispetto ai quadri più piccoli, dovrei menzionare che quando ero al college ho passato un semestre in Mongolia studiando la pittura Buddista Thangkas con un incredibile pittore di nome Badam. In seguito, dopo essermi laureata, ho vissuto in India e intrapreso un apprendistato di miniatura Mughal. Quando si dipingono le miniature si è seduti sul pavimento, il formato del dipinto è più o meno quello di un libro, bisogna rilassare tutto il corpo per compiere movimenti piccoli e delicati. Ricordo Ajay, il mio maestro, quando lo osservavo sembrava di guardare qualcuno suonare uno strumento come il violino o il pianoforte. C’era un bellissimo movimento musicale nel modo in cui le sue mani si muovevano. I miei quadri più piccoli sono intimi, silenziosi, contraddistinti da una minuta attività corporea. Con quelli grandi invece, è come fare allenamento sportivo. Richiedono una gestualità molto più ampia, atletica.

MI Forme morbide, armonia cromatica, ripetizione e camouflage. È interessante come la tua grammatica visuale si sviluppi tra una serie e l’altra, aprendosi talvolta a nuove sfumature. Con l’opera New Mother ad esempio è la prima volta che ti rivolgi in maniera esplicita al tema della maternità.

LS Sì, e ricordo di aver pensato, Dovrei chiamarlo New Mother (Nuova Madre) o in altro modo? Se non ci fossero state Laura e Sam [Direttrici presso la galleria], e i loro neonati, non credo avrei scelto questo titolo, ma si era creata una sorta di complicità con le donne della galleria. Il più piccolo dei miei bambini ha un anno e mezzo ora, quindi sono uscita da quella fase di stanchezza e sfinimento che si passa quando si è madre nei mesi successivi al parto, ma ho pensato a queste due donne mentre lavoravo alle opere per la mostra.

 

Leggi l’intervista completa sul numero di Settembre, Issue 62.

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