MANIFESTO

#63

CHANGE OF SPACE

Decostruction - Recostruction

2023.09.27

La collezione SS24 di Dior indaga la relazione tra corpo, abito e linguaggio alla luce di una nuova iconografia: la Parisienne in passerella è una figura inedita, complessa e misteriosamente indipendente, è colei che si ribella al potere.

Il fashion show – uno dei momenti apice all’interno del sistema moda – diviene con Dior e Maria Grazia Chiuri spazio politico dove nuove forme di attivismo possono prendere campo. Non è un caso che anche per l’appuntamento pret-à-porter 2024 la designer abbia scelto di lavorare al fianco di un’artista, sempre per inseguire l’idea femminista di un fare comune, una concezione di lavoro co-autoriale necessario al suo progetto. Il corpo delle donne è infatti corpo politico anche in passerella, atto a reclamare i propri diritti e a costruirne altri all’interno della società. Qui la designer romana ribalta tutto portando il maschile nel femminile, costruendo una rivendicazione che si nutre di un racconto complesso, fatto da moltissimi riferimenti teorici della letteratura femminista, come il celebre testo di Silvia Federici, “Caccia alle streghe, guerra alle donne”. La sensazione è che da questo momento in poi esisterà nel guardaroba femminile l’abito da strega, da “donna delinquente” – titolo dell’omonimo libro di Michela Zucca, per rafforzare e rivendicare la propria libertà. Dior attraverso un atto di immaginazione – che è la moda – ha creato un nuovo mondo nel quale negoziare saperi sull’indagine del femminile. Indossare una camicia maschile che diventa monospalla sensuale è un atto che nel medesimo tempo attiva sia la costruzione di un immaginario consapevole sia la decostruzione di stereotipi ormai sedimentati. La strega è qui presentata come fulcro della collezione per indagare i territori accidentati della donna, come il corpo, l’abito e il linguaggio; è infatti una figura “contro”, ribelle, bandita, mistica, che diviene strumento liberatorio dal momento in cui si accosta alla figura della Parisienne, anche lei soggettività complessa e indipendente.

“A me interessava ragionare sullo stereotipo delle streghe e su come, a essere definite come tali, sono le donne che hanno rifiutato di conformarsi alle regole imposte loro dagli altri.”

– Maria Grazia Chiuri

L’installazione video “NOT HER” dell’artista Elena Bellantoni rafforza visivamente le questioni che la collezione vuole mettere in discussione, cioè la responsabilità delle immagini nella creazione di narrazioni stereotipate sulla femminilità e sulla donna. Si sviluppano per sette metri di led fucsia e giallo gli slogan come “we want kids but we want roses too”(Noi vogliamo i bambini ma vogliamo anche delle rose), oppure “women struggle is gender struggle” (La lotta delle donne è una lotta di genere), un’indagine, quella sugli stereotipi patriarcali, sempre più pressante alla quale siamo chiamati a rispondere, che coinvolge inevitabilmente la moda. L’arte di Bellantoni è un attacco selvaggio allo sguardo maschile che si è fatto strada negli slogan pubblicitari degli anni ’90, ed è presentato in passerella chiaramente come desiderio reazionario agli anni della classica fotografia couture di uomini come Richard Avedon e Irving Penn, dove sagome di chiaroscuro oscuravano i volti delle donne.

Il discorso femminista che sottende la collezione non fa perdere di vista a Chiuri il lavoro sull’archivio di Monsieur Dior: in passerella sfilano le nuove e leggere giacche Bar con le maxi gonne abbinate a camicie oversize e a capi leggerissimi, uno stile che abbiamo già visto sulla passerella di Dior in quanto rappresentativo della direzione creativa. La rielaborazione dei codici è sapientemente in linea con il tocco moderno, come gli abiti performativi fatti da strappi, lacerazioni e combustioni che richiamano le opere dell’arte povera di Alberto Burri, dove i segni di povertà diventano decorazioni costose. Sullo sfondo saturo della video installazione, si muove una palette rigorosamente neutra, gli abiti hanno toni color cenere e camomilla. L’apertura vede come protagonisti i delicati tessuti di pizzo e chiffon shredded, mentre i blazer ostentano le forme femminili dalla vita stretta. Gonne plissé lunghe con giacca e camicia bianca, lo scollo di Abandon che diventa camicia o abito scamiciato, cappe e parka con ganci e borchie, reggiseni e culotte in trasparenza, camioneurs in pelle, abiti a rete, casacche e gonne in macramé, robe manteau smanicati, gonne di frange. Tutto su scarpe fatte di gros grain drappeggiato che mettono insieme l’idea di una décolleté e i sandali gladiatore. Nell’ultimo blocco lunghi cappotti neri si alternano a giacche di nylon con tasche e cerniere a doppia funzione, mentre il minimalismo torna centrale per una serie di abiti dal taglio dritto e leggero, dove l’intricato pizzo riemerge in beige, offrendo una finitura regale anche ai top formali e asimmetrici.

“Christian Dior ha sviluppato la moda femminile a partire da quella maschile, dalla giacca alla camicia: la prima è diventata la Bar, la seconda tutti gli abiti a chemisier.” 

– Maria Grazia Chiuri

Le silhouette architettoniche veicolano assieme alla scenografia una forte narrazione sul presente in cui le streghe e le “donne ribelli” hanno ancora il compito di bruciare stereotipi invece di “finire bruciate”. La nuova iconografia messa in scena ripensa in definitiva un terreno compromesso che per le donne è il corpo, campo di battaglia su cui si misura libertà e potere, desiderio e repressione; il lavoro corale svolto dal team di Dior riesce a restituirlo in modo per niente didascalico, ma piuttosto ispirazionale e colto, trasformando la collezione SS24 in una storia inedita.

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