Straccio o broccato,
ogni tessuto è dunque il risultato
di questo stringersi costretti insieme
da un progetto il cui concepimento è dato
solo all’ingegno umano: un matrimonio
che mai in natura potrebbe avere luogo.
Prendete il ragno, poveraccio. Imbroglia.
Il ragno mica tesse, il ragno incolla. – Patrizia Cavalli
Maria Grazia Chiuri ha conosciuto Isabella Ducrot grazie alla poesia di Patrizia Cavalli, che raccontava il fascino dell’artista per il motivo a scacchi come espressione del rapporto tra ordito e trama. La matassa primordiale, infatti, rappresenta un punto di partenza simbolico sia per Ducrot che per Chiuri, entrambe indagano l’ordito e la trama come un’esperienza umana collettiva. Facendo riferimento a Penelope e al suo continuo fare e disfare il telaio, le due creative riflettono insieme sul tempo e sul tessuto e sul loro inesorabile legame, rappresentato graficamente nella scenografia della sfilata dal suo caratteristico motivo a scacchi: la trama e il tessuto. Circondati e immersi dalle grandi installazioni di abiti fuori scala dell’artista Isabella Ducrot, la collezione Haute Couture di Maria Grazia Chiuri svuota e alleggerisce ancora una volta i vestiti di Monsieur Dior, presentando una passione per i tessuti irrefrenabile. Ventitré abiti alti circa cinque metri, applicati su una griglia disegnata da righe nere irregolari che rimandano alla trama e all’ordito sono la memoria degli abiti dei sultani ottomani visti da Ducrot a Istanbul. Astrazione del vestire, simbolo di un potere che trascende i corpi, Big Aura è per Maria Grazia Chiuri quell’aura che effonde ogni singolo manufatto dell’haute couture. L’aura nella precisazione di Walter Benjamin, a cui fanno riferimento in maniera diversa Chiuri e Ducrot, riflette l’unicità e l’autenticità dell’opera d’arte. E la colloca nella memoria collettiva. Chiuri decide di riattivare il concetto di aura attraverso l’haute couture che è insita nell’essenza di Dior: una Maison che rappresenta carisma e storia.
“Quando lavoro alla Couture mi sento in conversazione con veri corpi, vere donne. Preferisco lavorare con le vere proporzioni, e con costruzioni più indossabili.”
Ad interrogare il confine sottile tra l’arte e la vita è l’abito La Cigale della collezione haute couture autunno-inverno 1952 – nella costruzione scultorea e nel tessuto moiré, che nella sua consistenza rimanda al sacro; diviene il manifesto e il punto di partenza della collezione, una teoria di modelli che ricontestualizzano la couture nella sacralità dell’atelier. La Haute Couture rimane il territorio di rapimento contemplativo in cui la riproduzione dell’originale non è mai uguale, obbligata com’è ad adeguarsi in ogni sua riproduzione ai corpi di chi potrà possederla. Il moiré è uno dei protagonisti della presentazione di Chiuri: è usato in una eclatante palette di colori che ne esalta la qualità scultorea e la cangianza materica: oro, bianco, grigio, vinaccia, verde. Le linee geometriche de La Cigale fanno eco a tutti gli abiti che impongono una posa: coat dai colli importanti, ma anche gonne ampie che si permettono faldoni esagerati, sovrapposizioni, pantaloni, giacche. La modellistica riprende elementi d’archivio rielaborando i codici in una visione più moderna. Succede anche con materiali come il cotone e la seta nei trench, che paiono modellati dall’aria per il rapporto che intrattengono tra il corpo e l’intorno. Alcuni abiti fatti di velluto nero esaltano l’allure di chi li indossa, muovendosi fluidi e leggeri. Mentre una sontuosa cappa di piume si appoggia su un abito organza double ricamato. I ricami sono per la designer donna di Dior frammenti consumati di poesie ritrovate in cui l’immaginazione si perde, e l’arte del cucito la sua gioia. Ogni tanto esplodono nella varietà colorata della natura, nel Millefiori che occupa tutto lo spazio di un abito moiré giallo.
A volte invece sono ciocche dai lunghi fili che ondeggiano al ritmo dei passi. In questa collezione, Maria Grazia Chiuri – attraverso la presenza materica, cromatica, costruttiva degli elementi che scolpiscono le silhouette – ci ricorda ancora la nozione di “Aura e Choc” un famoso testo di Walter Benjamin, rielaborato per una dimensione auratica della couture: esperienza potente, non solo contemplativa ma anche performativa. A tutti gli effetti un’espressione dello spirito trasformativo dell’immaginazione. La pratica di Chiuri di collaborare ogni volta in un duo, tra arte e moda, è già di per sé qualcosa che porterà sempre alla luce nuovi linguaggi e congestioni. In questo modo, Dior attraverso un atto di immaginazione – che è la moda – ha creato un nuovo mondo nel quale negoziare saperi sull’indagine del femminile.