MANIFESTO

#63

CHANGE OF SPACE

DAWOUD BEY

2021.10.08

Portrait by WHITTEN SABBATINI
Text by MADDALENA IODICE

American project è un pezzo di tessuto americano con il quale non ci si è sempre confrontati e che non è sempre stato amplificato nel contesto della narrativa storica americana”.

Sin dalla metà degli anni ’70, Dawoud Bey (1953, Queens, New York) ha lavorato per esplorare le capacità e le responsabilità del mezzo fotografico. Ritenendo la fotografia una pratica etica alla base della quale vi è un fondamentale rapporto di collaborazione con i soggetti ritratti, Bey crea intense riflessioni sulla visibilità, il potere e la razza. Attraverso un’ambiziosa pratica visiva, l’artista vuole dare spazio e riconoscimento a quelle presenze e quei soggetti che nel corso degli anni sono stati marginalizzati, raccontando le comunità e le storie ampiamente sotto-rappresentate se non addirittura rese invisibili dalla narrativa predominante. Il suo lavoro torna dunque all’urgenza di una conversazione riguardo il significato di raccontare l’America con una macchina fotografica. 

A Young Man Resting on an Exercise Bike, Amityville, NY, 1988 .

Bey si avvicina alla pratica fotografica scattando foto ad Harlem tra il 1975 e il 1979. Imparare a conoscere la comunità locale e permettere, allo stesso tempo, alla medesima comunità di conoscerlo, fu un processo che gli fece comprendere l’importanza della componente sociale, la quale andava ben al di là del creare un’immagine. Al momento dello scatto, la macchina fotografica spariva lasciando spazio all’esperienza più intima e profonda tra Bey e il soggetto ritratto. Spaziando tra le prime serie di ritratti scattati ad Harlem ed i lavori più recenti, nei quali l’artista immagina una scappatoia alla schiavitù tramite la Underground Railroad; la retrospettiva Dawoud Bey: An American Project racconta del profondo coinvolgimento tra l’artista, il soggetto Afroamericano ed Harlem stessa.

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FROM THE MAGAZINE

KUDZANAI-VIOLET HWAMI

2024.02.19

La pratica artistica di Kudzanai-Violet Hwami si configura come un’indagine intima sull’identità, sulla memoria e sul sottile intreccio tra passato e presente. Le sue opere esprimono un’intrigante ambiguità, in una costante ricerca sui confini delle rappresentazioni visive e delle influenze culturali nell’espressione dell’identità; si sviluppano attraverso una complessa rete di esperienze personali, influenze culturali, viaggi e adattamenti.

MUSE TALK

KYLE STAVER

2024.02.19

Kyle Staver racconta a Bill Powers di come intraprende la sua pratica artistica, intrisa di significati profondi presi in prestito dal mondo fantastico della mitologia. Perseveranza e umorismo caratterizzano in maniera dettagliata il suo lavoro.

TALK

CAMILLE COTTIN

2024.02.19

Il suo sorriso è arrivato sul set prima ancora di lei, ed è subito piaciuta a tutti. Camille è energia trascinante, potente e senza filtri, quasi fanciullesca. I ruoli che sceglie di ricoprire sono spesso caratterizzati da un dualismo. Interpreta donne responsabili, che affrontano con determinazione crisi e dolori, ma con un tocco di ironia e un’anima leggera.

CARSTEN HÖLLER

Ever Höller, Höller Ever

2024.02.19

Carsten Höller ha dato spazio alla creatività facendosi ritrarre a Stoccolma, all’interno degli spazi del suo provocatorio ristorante Brutalisten, e raccontando il suo enorme approccio all’arte della sperimentazione e la sua pratica fantastica evolutasi nel corso dell’esperienza.

BARBARA KRUGER

A Visual Statement

2024.02.19

Barbara Kruger ha sviluppato un linguaggio visivo iconico che spesso attinge dalle tecniche e dall’estetica della pubblicità e di altri media. Sin dagli anni ’70, le sue opere d’arte hanno continuamente esplorato complessi intrecci di potere, genere, classe, consumismo e capitale.  La sua prima mostra personale istituzionale a Londra è in mostra alla Serpentine; per l’occasione MUSE ne esplora i complessi meccanismi artistici.