MANIFESTO

#65

MUSE TWENTY FANZINE

LILIANE LIJN

2025.02.24

Photography SOPHIE WEDGWOOD

Interview MADDALENA IODICE

Liliane Lijn è celebrata per l’integrazione di scienza, tecnologia e poesia nelle sue sculture e installazioni, esplorando spesso temi legati al movimento, alla luce e all’energia. Nel tempo ha sviluppato un approccio distintivo.

London, November 22nd, 2024

 

Liliane Lijn in conversazione con Maddalena Iodice

 

La vita di Liliane Lijn (1939, New York) è caratterizzata dal movimento, un moto ritmico e costante, che si propaga in sfere circolari, come le basi rotanti delle sue opere, come l’energia femminile tonda e piena descritta dalla filosofa Lou von Salomé. Coniugando arte visuale, poesia e scienza, il lavoro di Liliane Lijn sfugge alle categorizzazioni, rivelando un rapporto d’influenza con il movimento Surrealista, l’arte cinetica, miti antichi, femminismo, scienza e linguistica.

 

Nata nel 1939, Liliane cresce a New York fino all’adolescenza, quando si sposta in Svizzera con i suoi genitori. All’età di diciotto anni annuncia fermamente che sarebbe diventata un’artista e si sarebbe trasferita a Parigi. Era il 1958. La sua ricerca viene nutrita da un vibrante momento culturale ed il cosmopolitismo dell’avanguardia francese, tuttavia Liliane si scontra presto con le difficoltà di affermarsi in un ambiente maschilista di cui facevano parte poche donne, che spesso ne assumevano i codici. Trovare la sua voce come artista e come donna, fu un processo animato da un’energia creativa rivoluzionaria, durante il quale Liliane non smise mai di portare la propria pratica artistica in direzioni sempre più sperimentali. La ricerca del sé e del potere dell’inconscio espressi dai primi lavori, divengono fascinazione per l’invisibile e le forze primordiali del cosmo. Dove l’approccio avanguardista ai materiali come Perspex, plexiglass e filo di rame le permise di approfondire le qualità poetiche della scienza; l’incontro di arte, assemblage tecnologico e intervento performativo furono al centro della sua riflessione sul corpo femminile. I lavori successivi esprimono infatti l’urgenza di rileggere archetipi e miti antichi offrendo un’alternativa alle narrative patriarcali.

 

Il lavoro di Liliane sfida la formalizzazione e la pressione di allinearsi a qualunque movimento artistico, il suo impulso nasce dal fare, dall’urgenza di seguire il proprio moto e investigare la sostanza dell’esistenza. Oggi una mostra antologica ne celebra la ricerca e la produzione viaggiando dal museo Haus der Kunst di Monaco, al mumok di Vienna, per finire a maggio 2025 presso la Tate St Ives.

 

Ho incontrato Liliane presso il suo studio a nord di Londra qualche giorno dopo l’apertura al mumok. La conversazione che segue offre uno sguardo alla vita densa e al suo caparbio percorso artistico, rivelando aneddoti e sensazioni di cui Liliane racconta con bellissimo ritmo nel suo memoir Liquid Reflections, in uscita a Marzo.

opening image: Split Spiral Spin, 1982. Courtesy Liliane Lijn. Photograph by Stephen Weiss.

Al mumok di Vienna ha da poco aperto Liliane Lijn. Arise Alive. Com’è stato lavorare ad una mostra così ampia sul tuo lavoro?

LL     È stato un processo molto interessante. Ho avuto diverse mostre, ma mai una di queste dimensioni. Ci sono due importanti musei dietro al progetto, Haus der Kunst e mumok, le cui rispettive curatrici, Emma Enderby e Manuela Ammer, mi sono venute a trovare diverse volte. Hanno guardato i lavori esposti in studio, i cassetti pieni di disegni e i dipinti… Poi hanno iniziato a scegliere. È buffo perché all’inizio ho pensato, beh non hanno selezionato nessun lavoro degli anni ‘90, questa non è proprio una retrospettiva. Ma la loro intenzione era quella di fare una mostra antologica. In altre parole, una lettura del mio lavoro attraverso il loro sguardo curatoriale. Devo ammettere che all’inizio ero un po’ dispiaciuta, ma quando abbiamo installato mi sono resa conto di quante opere fossero in realtà esposte!

 

Credi che questa antologia metta l’accento su alcuni aspetti del tuo lavoro piuttosto che altri o proponga una lettura inedita?

LL     Ogni curatore ha la propria lettura del lavoro di un’artista. Come ogni persona d’altronde, no? La mostra è decisamente influenzata dalle opere Woman of War e Lady of the Wild Things, i primi lavori che Manuela ha visto quando è venuta a Basel Art Fair International nel 2019. Tutto è cominciato lì. Era molto curiosa di approfondire il mio lavoro, ci siamo incontrate per cena e abbiamo parlato tutta la sera. In qualche modo la mostra guarda al percorso che ha portato alla realizzazione di queste due sculture.

“Tutti gli animali, i mammiferi, i rettili, qualunque creatura viva risponde alla dinamica della preda e del predatore. Siamo sempre ricettivi al movimento perché a livello primario è ciò che ci dice se siamo in pericolo o siamo davanti a una preda. Per questo le persone sono affascinate dal movimento, anche se oggi per via dello sviluppo tecnologico tendiamo ad essere costantemente iperstimolati.”

– Liliane Lijn

Eroskon, 1965. Courtesy Liliane Lijn.
Split Spiral Spin, 1982. Courtesy Liliane Lijn. Photograph by Stephen Weiss.

Allora, torniamo all’inizio di questo percorso. Perché l’arte? Cosa ti affascinava del mondo artistico, portandoti a lasciare la Svizzera per Parigi nel 1958?

LL     Come sono diventata un’artista? Bè, innanzitutto ad un certo punto incontrai una vecchia compagna di scuola Nina Thoeren. Ci conoscevamo dall’età di 11 anni, e lei viveva a Venezia con sua mamma, una pittrice surrealista. Entrambe eravamo interessate all’arte. Io in qualche modo avevo già iniziato a sperimentare a Lugano con altri studenti. Sua mamma Manina si sarebbe spostata a Parigi per sposare Alain Jouffroy, un poeta francese piuttosto conosciuto e di vent’anni più giovane. Così io e Nina decidemmo che ci saremmo incontrate a Parigi. I miei genitori non erano entusiasti, avevo solo 18 anni. Concordammo che avrei studiato Archeologia alla Sorbona, imprescindibile per mio padre. Non potevo essere soltanto un’artista.

 

La tua ricerca artistica si sviluppa in un momento di grande fermento culturale. Sei stata esposta alla corrente surrealista, ai poeti della Beat Generation… Vorrei sapere di più sull’influenza che le pratiche surrealiste come il disegno automatico hanno avuto sul tuo lavoro. Penso a opere come Two Worlds, 1959 and The Beginning, 1959.

LL     Il disegno automatico era una pratica liberatoria. Ricordo di essere stata ad alcuni workshop durante i quali il segno doveva entrare in sintonia con la musica, ed assorbirne il ritmo. Praticare yoga, approfondire Buddismo e filosofia sono altre cose che hanno nutrito moltissimo il mio lavoro in quel periodo. Leggevo tanto e ad un certo punto ho iniziato ad interessarmi di scienza. Ma questo avviene in seguito. All’inizio disegnavo, pensavo di voler essere una pittrice e mi resi conto di non poter dipingere senza saper prima disegnare. Credo di avere realizzato Two Worlds nell’inverno del 1959. Adesso, quando lo guardo penso al triangolo come ad uno spazio del pensiero limpido e quieto, e al cerchio come ad uno spazio pieno delle emozioni caotiche che sentivo all’epoca. In qualche modo rappresenta il percorso che desideravo intraprendere ed esprime ciò che in quanto donna, sentivo. Per le donne entrare in contatto con la forza della loro mente ed il proprio potere spirituale è fondamentale, soprattutto in quel periodo. Le donne non potevano diventare preti, e molto raramente si è sentito parlare di donne illuminate. Raramente ci sono stati tra i monaci zen delle donne…

Possiamo dire allora che trovare la tua voce artistica ha coinciso con la tua capacità d’affermazione come donna?

LL     Sì, penso sia così. Anche The Beginning è stato un lavoro molto importante, lo realizzai lo stesso anno. Fu come disegnare il mio cosmo, dare forma ad una sorta di struttura intima, interna. Segna per me l’inizio del mio lavoro come artista.

 

Com’è stato coltivare il tuo lavoro in un ambiente fortemente dominato dagli uomini di cui solo poche donne facevano parte?

LL     Molto difficile, e anche le donne con una pratica scultorea affermata in qualche modo indossavano ruoli maschili, come Louise Nevelson. Il primo anno a Parigi fu estremamente intenso. Verso l’estate iniziai a dipingere. Realizzai un dipinto ispirato da una visione avuta una sera al tramonto. Vidi questo incredibile addensamento nuvoloso, sembrava una gigantesca dea sospesa nel cielo… Dietro alle nuvole c’era una presenza caotica popolata di strane creature o mostri. Disegnai tutto per poi dipingere. Sfortunatamente mi resta solo una foto sfuocata, il dipinto è andato perso quando ho vissuto in Grecia.

 

Andiamo al 1964. Vorrei parlare di Poem Machines e il ruolo della poesia post-strutturalista.

LL     Sono stata influenzata da tantissima poesia. Era ovunque intorno a me ed io stessa scrivevo molto… In quel periodo ero interessata alla luce e avevo iniziato a fare dei disegni che chiamavo Skyscrolls, in parte ispirati da una visita al Museo Cernuschi di Parigi, dove vidi una mostra di dipinti orizzontali cinesi. Fu attorno a questa fase che decisi di andare a New York. Avevo vissuto con Takis, uno scultore greco con un’interessante ricerca sul magnetismo. Fu la curiosità per il suo lavoro a portarmi verso la scienza. Comunque, decisi che avevo bisogno di stare del tempo per conto mio, così andai a New York dove sviluppai una serie di lavori sulla luce e lo spazio, caratterizzati dalla sperimentazione con polimeri liquidi, plexiglas, plastica fusa e lastre di Perspex. Tornata a Parigi approfondii la scienza ottica e il lavoro di Augustin-Jean Fresnel, uno scienziato francese che lavorò sull’interferenza della luce. Ispirata da uno dei suoi esperimenti realizzai Le Vibrographe. Due cilindri rotanti sui quali avevo disegnato delle linee. Entrambi i cilindri avevano lo stesso pattern, ma quando in moto, creavano interferenza. Mi resi conto che avrei potuto usare delle parole, che in fin dei conti non sono altro che linee. Provai con l’alfabeto quando Nazli Nour, una poeta inglese ed un’amica, mi propose di usare le sue poesie. Nacquero Poem Machines. Dei tamburi di metallo rotanti, sui quali le parole dissolvevano in pattern energetici che a me sembrava evocassero la struttura del suono.

 

 

Leggi l’intervista completa sul numero di febbraio, Issue 65.

Sunstar on Mount Vesuvius seen from Naples, 2024.
Courtesy Liliane Lijn. Digital collage by Tommy Camerno. Original photograph by Massimo Finizio.
Sunstar on Mount Vesuvius seen from the Archeological Park of Pompeii, 2024.
Courtesy Liliane Lijn. Digital collage by Tommy Camerno. Original photography by Sergii Figurnyi.

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