Milan, December 21st, 2024
Louis Fratino in conversazione con Micola Clara Brambilla
Vorrei iniziare facendo riferimento a quello che mi hai raccontato: da bambino disegnavi continuamente, consumando grandi quantità di carta, tanto che tua madre ti chiedeva spesso di stare attento a non sprecarla. Questa immagine di te, che disegni senza sosta, mi è rimasta impressa. Ne ho colto echi in diversi contesti: disegni spesso quando sei a casa, in viaggio o anche quando firmi le dediche dei tuoi libri. Il disegno sembra fondamentale per il tuo lavoro. Hai fatto riferimento a un bellissimo passaggio di Wayne Koestenbaum, in cui descrive il disegno come “il bisogno di verificare (o celare) una fantasia interiore dandole una forma visiva […] Il disegno si disorienta, perde contatto con i suoi supervisori […] quel medium amnesico manca dell’intelligenza (o dell’ordinarietà) necessaria per rimanere fedele verso i suoi padroni”. Potresti approfondire il tuo rapporto con il disegno? Ritieni che sia alla base del tuo processo creativo?
LF Il disegno per me è il metodo principale per dare forma ai pensieri. Con pensiero non mi riferisco al tema, al soggetto concettuale o all’immaginazione. Intendo pensiero nel senso che il disegno è l’unico modo che conosco per rispondere fisicamente a quel tipo di dialogo interiore astratto, errante, circolare e ossessivo che tutti abbiamo. È questo che amo così tanto della descrizione di Koestenbaum: spiega perfettamente la natura senza direzione del disegno, che permette di rispecchiare l’attività della mente. Disegnare sul mio taccuino mi porta più vicino all’obiettivo che ho in studio: lasciar uscire le cose senza filtri, anche quelle un po’ imbarazzanti, in modo confessionale. Ed è proprio grazie ai materiali veramente umili come il carboncino, la grafite, la polvere pigmentata su carta o sui libri lasciati in fondo alle borse. Questo materiale insignificante, privo di valore, permette al soggetto di emergere senza autocoscienza. E questo per me è la radice di tutta l’arte, qualcosa che è stato creato perché non c’era altra scelta.

“Credo che i dipinti acquistino una vita propria al di fuori dello studio – vite che non penso di poter né di voler controllare. Se un dipinto dovesse trascendere il mio piccolo mondo e raggiungere qualcuno attraverso una qualche attività politica, chi sono io per fermarlo?”
Le tue opere trasmettono un profondo senso di intimità, spesso attraverso la rappresentazione di corpi maschili e relazioni queer, ma anche dei tuoi familiari, degli amici e dei momenti che condividi con loro. Come riesci a bilanciare il confine tra il personale e l’universale nel tuo lavoro? Cosa guida la tua decisione di portare certi dettagli della tua vita personale sulla tela, e come scegli i tuoi soggetti?
LF Credo che tutta la grande arte nasca dall’impulso di voler rappresentare una realtà. Questo non significa che il realismo giochi un ruolo significativo nel mio lavoro, ma piuttosto che ogni stile e ogni forma derivi da una sensazione che necessita di essere espressa. Per me è sempre stato naturale usare quello che mi circonda, quindi me stesso e le persone a me più vicine. Considero anche le opere d’arte che amo come parte dell’ambiente a me vicino. Questa collisione tra ciò che è visto come immagine e ciò che è vissuto fisicamente diventa qualcosa che va oltre la mia autobiografia – o almeno questa è la speranza. Di solito, dove queste immagini si intersecano, trovo argomenti convincenti per dipingere. Per esempio, il nudo reclinato, che è presente quotidianamente nella mia vita e continuamente nella storia della pittura, o la tavola imbandita di cibo e oggetti. Penso anche alla pittura come a un atto di rispetto o cura, perché richiede tempo, abilità e quasi una sorta di abbandono dell’io quando è fatta seriamente. In questo senso diventa un atto di riconoscimento verso ciò che si ama.

La pittura non rappresenta sempre un momento specifico nel tempo – spesso può essere una proiezione di un ricordo o di un desiderio. Pensi che questa dinamica abbia un ruolo importante nel tuo lavoro?
LF Direi che un dipinto è qualcosa che va oltre il sé, o che, quando funziona, lascia accadere cose che sembrano al di là delle mie capacità – anche se sono io a controllarle. Per questo devo essere molto aperto alle esigenze della pittura, che non corrispondono necessariamente alle caratteristiche della memoria e certamente non ai fatti. La memoria è qualcosa che mi incuriosisce molto. Più spesso di quanto pensi, attingo alla memoria e considero il mio lavoro come una rappresentazione della fragilità o dell’eccentricità della memoria. Il desiderio è un po’ come la pittura, nel senso che può cancellare o inventare ricordi, alterando il modo in cui vediamo, tocchiamo e gustiamo le cose. Quindi sì, il desiderio e le immagini che ne derivano hanno un ruolo importante nei miei dipinti. Penso che si adatti bene al lavoro, sia materialmente che concettualmente, dal mio punto di vista.


Viviamo in un’epoca in cui i corpi queer sono fortemente politicizzati. Come riesci a bilanciare l’urgenza di creare un’arte profondamente personale con la consapevolezza che il tuo lavoro sarà inevitabilmente interpretato in chiave politica?
LF Come ti dicevo parlando dell’inevitabilità della vera opera d’arte, non ho il controllo sulle interpretazioni del mio lavoro da un punto di vista politico o morale. Le immagini legate al sesso possono essere politicizzate, ma questo ha tanto a che vedere con il fare pittura quanto con il fare sesso. Non sto dicendo che voglio proteggere il mio lavoro da una vita politica, ma non mi sento particolarmente legato a questo contesto. Credo che i dipinti acquistino una vita propria al di fuori dello studio – vite che non penso di poter né di voler controllare. Se un dipinto dovesse trascendere il mio piccolo mondo e raggiungere qualcuno attraverso una qualche attività politica, chi sono io per fermarlo?
Nei tuoi dipinti, la sfera domestica è un tema ricorrente: letti, finestre, lavandini, tavoli ingombri di oggetti, salotti e cucine… Cosa simboleggia per te lo spazio privato? Come si intreccia con la rappresentazione del desiderio nel tuo lavoro?
LF Credo che la relazione tra il domestico e l’erotico sia un tema molto ricco ed è il palcoscenico su cui si svolge gran parte della nostra vita. La mia inclinazione a rappresentare l’erotico è, almeno per me, resa più credibile e intensa dal fatto che si svolge in un ambiente dove si potrebbe anche trovare per esempio una tazza di caffè lasciata a metà dalla figura suggerita nella stanza accanto. Se si può trovare una filosofia nella mia pittura, potrebbe essere quella di guardare qualcosa di trascurato o facilmente dimenticato, come per esempio un tavolo pieno di oggetti sparpagliati, con lo stesso vivo entusiasmo con cui guardiamo il nostro amante nudo.
Leggi l’intervista completa sul numero di febbraio, Issue 65.