In conversazione con l’artista Jenna Gribbon, che in occasione del numero di Febbraio ci ha raccontato del suo processo creativo e ha ri-elaborato il logo MUSE personalizzando l’Art Cover del numero con pennellate dense e vibranti.
MI Ciao Jenna, è un piacere parlare con te in occasione di questo numero di MUSE. Come stai? Come procede la nuova serie di opere alla quale stai lavorando? Ho avuto modo di vedere una prima preview, e mi sembra tu abbia esplorato ulteriormente quello che ad oggi è il tema centrale del tuo lavoro: “il vedere e l’essere visti”. Come nasce questa nuova serie?
JG Sto benissimo grazie! Ho finito proprio ora le opere oggetto della prossima mostra, e le ho spedite a Londra. Adesso sono felice di avere del tempo per rilassarmi. Si tratta di opere che insistono sull’esplorazione del guardare chi guarda. Sono una prosecuzione della mostra “Uscapes”, presentata presso la galleria Fredericks and Freiser lo scorso Settembre a New York. È li che ho introdotto le opere di grande formato nelle quali ritraggo i miei arti e quelli della mia compagna intrecciati in modo confuso, divengono quasi elementi astratti, simili a un paesaggio. In quei lavori, il mio corpo nudo attira lo spettatore al centro della scena, talvolta il punto d’accesso è tra le mie gambe socchiuse. Sono quadri che mostrano e raccontano l’intimità, il piacere e la scomodità di essere vicini.
MI Il tuo lavoro rivela la stretta relazione che hai con i soggetti ritratti. Sono particolarmente interessata al modo con il quale hai ritratto Mackenzie nel corso degli anni. Man mano che nella vostra relazione fiducia e intimità sono cresciute, è cambiato anche il tuo modo di ritrarla?
JG Mackenzie è per me un soggetto ideale, non solo perché essendo la mia compagna ho accesso a momenti di grande intimità con lei, ma anche perché come musicista, è una figura pubblica; e anche il rapporto pubblico vs privato è un tema chiave del mio lavoro. Le mie opere hanno sicuramente subito un’evoluzione nel corso della nostra relazione. Quando l’ho ritratta in “Erotic hand in public”, si coglieva essere l’inizio di un nuovo rapporto. Oggi, la dipingo in posture ed espressioni meno composte, e questo per me è un privilegio, mostra la solidità che caratterizza il nostro rapporto. Sono ritratti ancora più intimi, perché lasciare che qualcuno veda il tuo viso ed il tuo corpo così spontaneamente è indice di vicinanza e grande fiducia.
MI Quando lo spettatore guarda le opere assume il tuo punto di vista, che è anche lo sguardo di una mamma come in “Pose of an artist’s child”. La maternità ha influenzato il tuo lavoro? E qual è l’importanza di questo tema nel contesto dell’arte contemporanea oggi?
JG Quel lavoro racconta dell’innato senso di preservazione del soggetto ritratto. Credo che i bambini abbiano un istinto naturale nel ritrarsi da sguardi indesiderati, un aspetto per me molto interessante da esplorare in un dipinto, raffigurando solo una parte del viso di mio figlio, quella che lui mi ha permesso di vedere. Il tema della maternità è stato ampiamente marginalizzato negli ultimi cent’anni, e sono felice di vedere come oggi molte artiste abbiano deciso di dargli spazio.
“Io mi sono lasciata andare all’esplorazione di questi aspetti realizzando dipinti che non avrei mai fatto in passato per paura che fossero giudicati come sentimentali.”
L’opera di Jenna What Am I Doing Here? I Should Ask You the Same, 2022 scelta per l’Art Cover di Muse, è ora parte della residenza della Frick Collection Living Histories: Queer Views and Old Masters. Un incredibile progetto annuale che espone il lavoro di quattro artisti basati a New York: Doron Langberg, Salman Toor, Jenna Gribbon, and Toyin Ojih Odutola. Ognuno presenta un lavoro singolo pensato per entrare in conversazione con gli iconici dipinti della collezione permanente della Frick, con particolare enfasi alle questioni di genere e identità tipicamente escluse dalle narrative dell’arte moderna europea.