MANIFESTO

#63

CHANGE OF SPACE

DANIEL ARSHAM

2022.02.23

Photography CLÉMENT PASCAL
Interview JERÔME SANS
Images courtesy of the artist

Le creazioni di Daniel Arsham invitano gli spettatori di ogni età e provenienza a guardare il presente con occhi diversi, fornendo nuove prospettive temporali. 

JS   Come definiresti la tua arte?

DA   Io creo cose che vorrei e di cui avrei bisogno. Le mie sono opere che reinterpretano la nostra relazione con il tempo, con l’architettura e con lo spazio, ma anche con gli oggetti e le forme che definiscono la cultura e chi siamo.

JS   Il tuo lavoro è monocromatico, utilizzi solo il colore bianco. Perché questa ossessione con il bianco? È una metafora del non-colore, della purezza, della fragilità del mondo e della cultura o della nascita di un’opera?

DA   Questo è in gran parte dovuto al fatto che sono daltonico. Lo sapevo fin dall’infanzia, ma non l’ho mai considerato molto come un fattore del mio operato. Eppure, da quando ho studiato arte al college, la maggior parte del mio lavoro è soprattutto monocromatica o priva di colore. Le prime opere che ho realizzato modificando l’architettura si trovavano in musei e gallerie con pareti bianche, così sono finite per essere anch’esse bianche. La maggior parte dei materiali con cui lavoro per i pezzi fusi sono materiali geologici bianchi e neri, come i cristalli e la cenere vulcanica. Credo sia una scelta sia pratica che estetica.

JS   Le tue opere sono spesso danneggiate, parassitate da elementi o addirittura rotte. È una reazione all’idea di perfezione dell’opera d’arte che non cambia e non invecchia? 

“Do forma alle opere che voglio vedere esistere nel mondo. Lavori che re-immaginano il nostro rapporto con il tempo, con l’architettura e lo spazio, così come con gli oggetti e le forme che definiscono la nostra cultura e chi noi siamo”.

-DANIEL ARSHAM

DA   L’idea dell’erosione è nata dal mio desiderio di spingere gli oggetti contemporanei verso qualche potenziale futuro. Mi sono chiesto: come posso prendere qualcosa che oggi associamo a questo momento temporale e far sembrare che sia rimasto nel terreno per migliaia di anni? Osservo la trasformazione materiale di un oggetto, per esempio di un computer, in plastica, metallo e silicone, in un altro materiale come la cenere vulcanica e il cristallo, qualcosa che associamo ad un arco temporale geologico. Questa trasformazione sembra viscerale e reale. Sembra autentica. La materialità di una cosa può dirci tanto sulla sua storia e sul potenziale significato, quanto sul suo aspetto. Per me l’erosione soddisfa due scopi. Da un lato, l’opera sembra decadere o sgretolarsi, ma dall’altro è realizzata in un materiale associato alla crescita. Il conflitto è al centro dell’opera stessa: potrebbe sia cadere a pezzi che riformarsi verso una sorta di compimento.

JS   Le tue sculture spesso includono materiali che favoriscono l’erosione: sabbia, selenite, cenere vulcanica, cristalli. Quali sono le loro particolarità e le qualità estetiche? Come spiegheresti questa ossessione per l’erosione nel tuo lavoro? Deriva dal tuo interesse per la cristallografia?

DA   C’è un’altra qualità del materiale che ha a che fare con la sua capacità di trasmettere qualcosa che non sarebbe possibile altrimenti. Sicuramente avrei potuto prendere il computer e dipingerlo per farlo sembrare vecchio o scolpito in un mezzo alternativo. Ma è importante utilizzare un materiale che tutti colleghiamo già a quel periodo nel tempo. È intrinseco nella visione di un oggetto in un museo, che la sua età e decadenza siano reali. Io volevo che questi oggetti contenessero anche questa veridicità.

 

 

 

Leggi l’intervista completa sul numero di Febbraio, issue 59.

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