Club Zero è il film di recente uscita di Jessica Hausner, precedentemente in concorso a Cannes e co-prodotto dal regista Ulrich Seidl. La regista austriaca fiancheggia vari generi senza mai entrarci appieno, pur avendo una carriera non troppo lunga alle spalle ha già saputo esprimere una precisa idea di cinema. Il film si snoda all’interno di un college d’élite di un’imprecisata cittadina europea dove a portare lo scompiglio fra studenti e genitori è l’arrivo di una nuova docente, la professoressa Novak (Mia Wasikowska), che si occupa di scienze dell’alimentazione. Questo personaggio porta in scena la cosiddetta alimentazione consapevole, cioè una nutrizione misurata – basata sul mangiare poco e sull’inspirare prima di mettere in bocca – che sia di aiuto all’ambiente e al corpo, tramite l’autofagia, cioè l’autoeliminazione delle tossine. Club Zero riflette sull’atto di mangiare e più in generale sulla nutrizione valorizzando in modo totalizzante questa attività personale e allo stesso tempo sociale. Durante tutta la storia si sviluppa una vera e propria credenza, la “religione del cibo”.
“C’è un certo tipo di assurdità che alberga nella nostra esistenza. Considerate da un punto di vista più distante, molte delle cose in cui crediamo e che facciamo sembrano ridicole, assurde o vane. Nei miei film cerco sempre di trovare una prospettiva distante per riflettere su questo.”
Gli studenti seguono con entusiasmo la religione della signora Novak, applicando le regole anche a casa suscitando perciò la perplessità dei genitori. La preside del college si ritiene soddisfatta, fino a quando la situazione si fa sempre più estrema: la Novak rivela ai ragazzi l’esistenza nel mondo di una setta segreta di persone – il Club Zero – che riesce a vivere senza mangiare, ed è così che cinque tra i suoi alunni decidono di seguirla fino in fondo, con conseguenze imprevedibili. Lungo tutto il film sono presenti favole aggiuntive raccontate per aiutare i bambini e gli adulti ad acquisire una bussola morale, per imparare a distinguere il bene dal male. L’uso delle fiabe come fonte di ispirazione lascia spazio anche a un approccio più distanziato, per un punto di vista generale: i dettagli psicologici o sociali vengono messi in secondo piano per raccontare una storia universale, mentre i personaggi assomigliano ad archetipi e non sono studiati profondamente. L’estetica sospesa enfatizza l’idea di un non luogo: ambientazione, costumi, uniformi – non si sa esattamente quando o dove si svolge la storia. Jessica Hausner usa tutti quesi elementi per riflettere profondamente sulla società di oggi e per ricordare il suo passato. La regista ha infatti frequentato una scuola cattolica femminile negli anni ’80 dove l’idea di mangiare poco era prevalente. Così, frammenti biografici si riversano nella sceneggiatura: la competizione tra i ragazzi, le regole severe e la dipendenza. Jessica Hausner fino alla fine della pellicola ci porta nell’angolo buio del presente, dove il controllo maniacale del cibo è la trappola che attrae gli adolescenti in cerca di una forma di inclusione.
“Una grande ispirazione per me è stata la favola del Pifferaio di Hamelin, in cui tutti i bambini muoiono alla fine, tranne uno, che quel giorno essendo malato non si è unito agli altri. Mi sono ispirata anche alle fiabe russe, che trasmettono una morale completamente diversa da quella delle fiabe europee. La morale è distribuita in modo diverso, i delinquenti e i criminali sono spesso gli eroi della storia.”
Per ulteriori informazioni academytwo.com