MANIFESTO

#64

MUSE TWENTY FANZINE

EVERYTHING IS DARK, SOFT, WARM, WHITE

2024.02.21

Interview CARLO ANTONELLI
Photography FABIO CROVI

L’anima della Val Senales si svela attraverso le parole di Paul Grüner, custode di una tradizione racchiusa nell’accoglienza della sua famiglia da generazioni. Tra i segreti di Certosa e l’osservatorio-macchina di Ólafur Elíasson, i larici intorno al maso su Infanglhof si mischiano all’odore del latte e del fieno.

Val Senales, January 9th, 2024

 

 

PAUL GRÜNER IN CONVERSAZIONE CON CARLO ANTONELLI

 

Sto percorrendo al contrario la Val Senales. Tornando indietro verso la città, immagini a caso tornano a colpire la retina. Una enorme superficie bianca, come fosse uno strabiliante lavoro di Superstudio (nella nostra testa bacata). Un padiglione caldo bellissimo con sedute di legno su tutti gli otto lati. Il suono – in piena notte — di un uccello sconosciuto dentro una valle stretta, dark, piena di neve silenziosa (anche il suono è visuale). L’immagine iridescente – che divide tutto lo spettro della luce — dentro l’osservatorio-macchina di Ólafur Elíasson, lassù. I lunghi camminamenti sui crinali del ghiacciaio, con le gambe che affondano fino al ginocchio, che si intersecano con i lunghi camminamenti di pietra della Certosa detentori di mille segreti (e bisbigli, e profonda dissoluzione del sé nel Tutto). E che a loro volta si sovrappongono in assolvenza al loro mirabolante gemello fisico (non digitale): una pensilina lunghissima e stretta, quasi irreale, che porta alla zona delle saune e dei padiglioni appunto, della bomboniera d’ospitalità chiamata Goldene Rose, sempre a Certosa. I piumini perfetti, a scacchi bianco e rosso/rosa del rifugio sopra il ghiacciaio. Frammenti di dettagli di snow-wear ormai giunti a livelli estetici straordinari. I piatti, che fumano. Dopo, scendendo, i larici intorno al maso su Infanglhof si mischiano al latte-fieno e alle erbe che danzano sopra i loro formaggi. L’anima di tutto questo — e quella che come Virgilio — ci accompagna in tutto questo è Paul Grüner. Parliamo di sera, con calma, nel grembo ligneo dell’albergo che appartiene alla sua famiglia praticamente da sempre.

CA      Chiudi gli occhi. Siamo sul ghiacciaio. Vedi bianco, più che neve.

PG      Sì, anche se non c’è solo la neve. È una situazione differente, è così in estate e in inverno. E tutto questo ti dà tranquillità e soddisfazione. Vedi montagne tutt’intorno a 360 gradi e questo guardare lontano e all’aperto ti apre la mente.

CA      (nda, da vero idiota) Quanti anni hanno questi ghiacci?

PG      L’ultimo periodo glaciale forte risale a 10.000 anni fa.

CA      E allora si può dire, dalla fine del 1800 i ghiacciai stiano…

PG      Diminuendo. E ora che sono più piccoli si vede ancor di più, tanto di più il nostro. In ogni caso da millenni i ghiacciai sono cresciuti, poi si sono ritirati e così via. Ma mai così, questo è sicuro.

CA      Ma tu come lo vedi, questo ghiacciaio? Come un organismo molto anziano, o meglio arcaico, senza tempo?

PG      Allora, il ghiacciaio non è un organismo. La situazione atmosferica è sempre in movimento. 5000 anni fa doveva essersi creata una situazione speciale per i ghiacciai. Altrimenti un corpo come quello di Ötzi non si sarebbe mantenuto per questa enorme quantità di tempo.

CA      Ma secondo te ce ne sono degli altri come lui, qui sotto?

PG      Ma questo io proprio non lo posso dire. Anche in giro per il mondo, ogni tanto esce un corpo, qualche pezzo di una persona da qualche parte. Il ghiacciaio si muove sempre e trasporta tutto ciò che c’è lì sotto.

CA      Ci sono state persone disperse in questi anni da queste parti?

PG      Qualcuno — pochissimi — sono morti in questi anni per valanghe. Valanghe ne succedono. Però le persone disperse poi si trovano praticamente sempre. Ecco, solo se cadono nei crepacci profondi diventa più difficile. Però oggigiorno si riescono a trovare, prima no.

CA      L’ultimo caso di panico a cui hai assistito?

PG      Era lontano dal nostro rifugio. Era una valanga grande, che poi è finita sulla pista da sci e lì ci sono stati tre morti. La montagna ha sempre un certo rischio. E ci sono situazioni più pericolose e altre meno. Rimane che sei in alta quota.

CA      E questa è una cosa che tu sai, quindi in qualche modo è come avere a che fare con un animale che dorme, che è piacevole ma che può rivoltarsi di colpo contro di te. Dentro questa pace, però, sappiamo da sempre (tu lo sai bene perché sei di qui) che si nasconde un rischio.

PG      Certo, questa prudenza ci deve essere, ma non deve impedirti di uscire, se non in condizioni particolarmente negative…

CA      Tu dove sei nato?

PG      Io sono nato qui in Val Senales, a Certosa, e ho vissuto sempre qui.

CA      E quand’è la prima volta che sei salito al rifugio?

PG      Abbiamo iniziato ad andarci già alle scuole elementari, a sciare. Dopo il ’75 hanno inaugurato questa funivia. Ma già prima c’eravamo saliti a piedi e con le pelli. Il rifugio esiste dal 1896.

CA      Qual era l’idea dietro l’invenzione di una vera e propria zona sciistica in quegli anni Settanta?

PG      Quarant’anni fa, cinquant’anni fa era di moda praticare lo sci estivo. Oggigiorno non si fa più, non c’è più interesse di farlo. I ghiacciai si sono ritirati e perciò…

CA      Era una valle in cui d’inverno c’era semplicemente e totalmente la neve, e basta.

PG      In Val Senales il turismo quasi non c’era. Soprattutto non c’era turismo invernale. In quel momento è scattata la grande stagione dello sci estivo, perché il ghiacciaio era molto molto più grande.

CA      Lì hai visto arrivare un’enorme quantità di gente. E hai iniziato a frequentare là sopra il rifugio Bellavista.

PG      Sì, si raggiungeva facendo un bel pezzo a piedi e poi, dal 1991, anche sciando.

CA      Cosi come camminando sul crinale si raggiunge l’opera di Ólafur Elíasson.

PG      Beh sì, c’è da fare una cresta che è lunga circa 400 metri e lì si arriva poi all’opera.

CA      Chi l’ha commissionata?

PG      C’è un’organizzazione che si è creata, si chiama Talking Waters Society. E poi ci sono stati contributi della provincia, e anche delle funivie.

CA      Elíasson ha scoperto il posto oppure siete stati voi che avete portato a lui un’idea?

PG      Aveva in testa di fare questa cosa e ha visitato vari posti, poi ha mandato qui un suo assistente che ha visto la situazione, e ha deciso di farlo su questo crinale di ghiacciaio.

CA      Che sensazione ti dà l’opera? Che cosa, secondo te, vuole comunicare?

PG      Stupore per la natura. Ma considera che Elíasson è un artista che si occupa anche del cambiamento climatico. Se pensi a Little Sun, che sono delle piccole lampadine con i pannelli solari sopra, che ha fatto qualche anno fa. Ne ha fatte produrre migliaia e le ha distribuiti in Africa e in altri paesi dove non c’è ancora la corrente.

 

Leggi l’intervista completa sul numero di Febbraio, Issue 63.

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