LUDOVIC NKOTH

2025.09.19

Photography ANNIE POWERS

Interview JÉRÔME SANS

Con opere pittoriche figurative che combinano elementi autobiografici, riferimenti alla storia coloniale e simboli tradizionali africani e un uso intenso del colore, i lavori di Ludovic Nkoth trasmettono forza, orgoglio e un senso di appartenenza.

New York, July 1st, 2025

 

Ludovic Nkoth in conversazione con Jérôme Sans

 

Come descriveresti il tuo lavoro?

Ludovic     Questo corpo di opere è una forma di testimonianza, radicata nel presente, nel mio modo di elaborare il tempo e nel significato dell’essere un uomo che ha vissuto in molte parti del mondo. Allo stesso tempo, tengo viva l’attenzione verso le storie che mi hanno permesso di essere dove sono e chi sono oggi. Il mio lavoro è un accumulo di storia e di esperienze vissute.

 

In che modo la tua esperienza di migrazione dal Camerun agli Stati Uniti influenza il linguaggio emotivo e visivo del tuo lavoro?

Ludovic     La bellezza del viaggiare è sempre stata la possibilità di vivere molte culture. Ogni terra è unica, così come le sue persone. Venendo dal Camerun negli Stati Uniti, porto con me una prospettiva che mi aiuta a cogliere meglio le sfumature dell’esperienza umana. È una delle cose più significative che conservo dal mio vissuto tra Camerun e altri luoghi. Mi permette di addentrarmi un po’ di più nella psicologia delle persone, nel momento presente.

Dove vivevi esattamente in Camerun?

Ludovic     Sono stato a Yaoundé fino a 13 anni.

 

Hai studiato all’Università della Carolina del Sud e hai conseguito un MFA all’Hunter College di New York. In che modo questo percorso accademico ha contribuito a plasmare la tua pratica artistica?

Ludovic    Quello che mi è piaciuto dell’Università South Carolina Upstate è stato che era una scuola molto piccola, senza un vero e proprio programma formale di arte. Potevo seguire qualsiasi corso ed ero circondato da persone provenienti da discipline molto diverse. Questa cosa mi ha stimolato ed esposto a modi diversi di pensare. Penso che questo si riflette anche nel mio lavoro. Ma quando mi sono trasferito a New York e ho iniziato all’Hunter College, è stata la prima volta che mi sono immerso in un approccio più accademico. È stata anche la prima volta in cui le mie idee sono state messe in discussione. Questo mi ha spinto a riflettere più profondamente sul perché faccio ciò che faccio e sulla sua importanza.

 

Ci sono stati insegnanti che sono stati importanti per te e che ti hanno cambiato la vita?

Ludovic     Oh sì, ce n’è stato uno. Il programma MFA all’Hunter dura tre anni, e nel mio secondo anno ho avuto un professore, un pittore astratto basato qui a New York, di nome Colin Washington. Un giorno è venuto nel mio studio e mi ha detto: “Non ti vedo nel tuo lavoro.” Mi voleva dire che cercavo troppo di adattarmi a un’idea di artista, invece di guardare a fondo dentro me stesso, nella mia storia e nel mio background. Dopo quella visita sono rimasto lì per un’ora, quasi paralizzato, a ripensare a ciò che era appena successo. Quell’incontro è diventato un punto di svolta nella mia pratica, e ho iniziato a essere molto più intenzionale nel processo, nella ricerca e in tutto ciò che entrava nel lavoro.

Sul tuo sito web c’è una tua citazione che dice: “Il mio lavoro tenta di riconquistare le cose che sono state tolte al mio popolo—il potere, la cultura, l’idea di sé e l’idea di essere neri e orgogliosi”. Cosa significa per te l’empowerment in termini visivi? Come traduci questa idea sulla tela?

Ludovic     Direi che l’empowerment nasce semplicemente dal vedere sé stessi. Ogni volta che entri in uno spazio e vedi qualcuno che ti somiglia o che parla come te, inizi immediatamente a sentirti parte di quel luogo. Questo porta un senso di identità e potere. Il mio lavoro, nella sua essenza, cerca di bilanciare queste idee di rappresentazione—mettendo le persone che mi somigliano, o che vengono da dove vengo io, allo stesso livello di tutti gli altri. Perché, come sappiamo, la storia non ha sempre favorito alcune parti del mondo, e a molte persone è stato tolto tanto. Attraverso il mio lavoro cerco di rivisitare alcuni di quei linguaggi o motivi visivi e di inserirci una parte di me, per restituire potere a ciò che a lungo è stato negato o sottratto.

La tua iconografia sembra ruotare attorno al ritratto. Perché il ritratto? Cosa significa per te realizzare ritratti oggi?

Ludovic     Tutto torna alla psicologia del semplice vedersi. Se pensi all’imprinting negli animali, la prima persona o il primo volto che vedono spesso diventa una sorta di guida per loro. E lo stesso vale per gli esseri umani. Cerchiamo di trovare volti in ogni cosa. Ritrovarsi nei miei dipinti può influenzare il modo in cui interpreti quegli spazi e sentirsi parte di essi. Per me, usare il ritratto è un modo per inserirsi nella lunga storia della pittura, ma è anche un modo per confrontarmi con le cose con cui lotto: come pittore, come essere umano, come uomo, come figlio, come fratello maggiore, come fidanzato—come tutti i ruoli che portiamo come persone. Il ritratto mi aiuta a elaborare queste cose.

 

Le tue opere spesso trasmettono sia forza che vulnerabilità.

Ludovic     Sì, è un equilibrio. C’è forza nella vulnerabilità, ma non è sempre riconosciuta, soprattutto quando si parla di uomini, in particolare degli uomini del luogo da cui provengo. Fin dall’infanzia ti viene detto di essere forte. Ti viene detto di non piangere, di non mostrare a nessuno le tue ferite. Costruiamo questo grande muro ogni volta che siamo feriti. Ma tutti abbiamo bisogno di aiuto. Quando sei ferito, hai bisogno di essere curato. Penso che la vulnerabilità sia la capacità di lasciar entrare le persone proprio quando sei più debole. Ho dovuto impararlo, perché, ancora una volta, non sono cresciuto in un ambiente che lo permettesse, e da bambino vedevo raramente uomini mostrare vulnerabilità. Imparare a essere vulnerabile e lasciare che gli altri vedano che sono umano, questa è la vera forza. Queste opere esplorano questo aspetto.

Ci porta alla tua serie di dipinti intitolata Francophone/Anglophone, che fa riferimento sia all’istruzione—attraverso la rappresentazione di bambini in uniforme scolastica—sia alla storia del Camerun, plasmata dalle sue due lingue ufficiali, francese e inglese. Il tuo lavoro esplora l’esperienza di vivere tra due mondi, due lingue e due culture.

Ludovic     Come sai, il Camerun è un paese bilingue. Abbiamo l’inglese e il francese, ma chi parla inglese è solo circa il 20% della popolazione, e non sempre è favorito dai poteri politici. Tra il 2014 e il 2019 circa, c’è stato un conflitto nella regione anglofona—quella che a volte viene chiamata “Amazonia”. Questa parte del paese voleva maggiore autonomia, perché non riceveva alcun sostegno politico. Il governo ha risposto con violenza militare contro le comunità anglofone. Questo lavoro è stato sia una critica che una domanda: se il mio paese è bilingue, perché devo scegliere da che parte stare per sopravvivere? Parla anche della corruzione che esiste da tempo nel paese, soprattutto nell’istruzione e nei settori collegati. Qui non vengono investite risorse sufficienti e, come sappiamo, l’istruzione costruisce il futuro. Ecco perché molte delle figure nella serie Francophone/Anglophone indossano uniformi scolastiche: per sottolineare che il domani sono i bambini. L’uniforme blu è usata nelle scuole di tutto il Camerun e in alcune parti dell’Africa occidentale.

 

Le tue pitture catturano spesso momenti di connessione, tenerezza, gioia condivisa e presenza comunitaria. Questi momenti sono tratti dalla memoria personale, dall’osservazione o da futuri immaginati?

Ludovic     Mentre il mondo brucia, il compito di un artista è mostrare la bellezza per combattere le atrocità che stiamo vivendo. Ecco perché cerco di catturare questi momenti di gioia, pace e comunità. La cosa più politica o radicale che un artista possa fare è andare controcorrente. Quindi, ogni volta che c’è una guerra, dipingi fiori. Metti bellezza nel mondo. Fai sorridere le persone. Fai sperare in cose migliori.

 

 

Leggi l’intervista completa sul numero di settembre, Issue 66.

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