C’era grande attesa per il debutto di Jonathan Anderson da Dior; sono stati diffusi indizi curati nei minimi dettagli: le polaroid di Lee Radziwill e Jean-Michel Basquiat, il ritorno del vecchio logo e Kylian Mbappé come ambassador, tutti segnali di una nuova visione per un nuovo Dior. Poi è arrivata la collezione, presentata in uno spazio rivestito di velluto ispirato alla Gemäldegalerie di Berlino e, in perfetto stile Anderson, con due dipinti di Chardin appesi alle pareti a suggerire, con discrezione, l’atmosfera dell’intero show.
La visione di Anderson si è espressa in un insieme armonioso di arte, artigianalità e qualità. Non mancavano riferimenti familiari alla maison e omaggi alle ossessioni personali di Christian Dior: il suo amore per il Settecento, i motivi floreali, la cultura britannica e quella sua inclinazione per la tensione tra romanticismo e rigore. Abbiamo così visto l’interpretazione di Anderson della Bar jacket, frac, gilet abbottonati fino al collo, insieme a rose ricamate e charm Diorette che evocavano l’estetica rococò. Anche abiti storici come il Delft, Caprice e La Cigale sono stati rivisitati, resi contemporanei grazie a uno styling che li ha sottratti all’archivio per proiettarli nel presente.

“Decodificare per ricodificare”
Anche gli accessori hanno sviluppato questa idea. La Dior Book Tote è stata stampata con copertine di libri classici, da I fiori del male e A sangue freddo, fino a Dracula, mentre la Lady Dior ha ricevuto un restyling artistico: è diventata un vero e proprio objet d’art, rifinita con l’inconfondibile tocco eccentrico di Anderson—e finalmente gli indizi della rana e della ninfea hanno trovato senso. Accompagnato da una standing ovation, il debutto di Anderson per la Maison ha saputo bilanciare istinto e nostalgia: in questa collezione, passato, presente e futuro si sono fusi in un’unica visione.